SuonoSonda prova a scambiare due parole con il contrabbassista e compositore Federico Bagnasco in occasione della pubblicazione del suo CD Le trame del legno edito dalla casa discografica Old Mill Records (https://nbbrecords.com/product/le-trame-del-legno/). Si tratta di una recente uscita in cui Bagnasco, grazie alla collaborazione col tecnico del suono Alessandro Paolini, giunge a proporre 14 tracce di sua creazione. L’intervista – introdotta da un ascolto orientativo e da un video di presentazione dello stesso compositore – proverà a individuare alcuni percorsi di approfondimento, corredando l’ascolto di ogni singola traccia con domande relative. Di ogni traccia introdurremo il titolo, accompagnandolo con un breve frammento scritto, tratto dal booklet del CD. Bagnasco è redattore della rivista SuonoSonda, nell’ambito della quale ha proposto, tra le altre cose, un saggio intitolato Le deviazioni dell’idea musicale (SuonoSonda 5), in cui indagano le correlazioni tra creazione e fruizione musicale. Inoltre, con SuonoSonda ha studiato a fondo e registrato un’interessante versione di Solo di Karlheinz Stockhausen per contrabbasso solista. Ringraziandolo per la disponibilità con cui ha accetato questa intervista, invitiamo i lettori di SuonoSonda ad approfondire il suo lavoro.
– Per una presentazione del CD si vedano:
– Federico Bagnasco Le Trame del Legno
– Pagina di presentazione di Le trame del legno
I. – Spire
“… il suono diventa materiale da plasmare e formare, …”
SuonoSonda: Il disco si intitola Le trame del legno. Non è difficile cogliere il nesso tra questo titolo e una tua attenzione primaria al suono del tuo strumento, il contrabbasso. Credo però sia importante sottolineare che – come emerge dal tuo scritto teorico Le deviazioni dell’idea musicale (SuonoSonda 5) – la tua attenzione al suono non intenda affatto perdere contatto con una qualunque, per quanto mobile, intenzione comunicativa. Perciò ti pongo innanzi tutto questa domanda: accompagnando l’ascolto di Spire, la prima traccia di Le trame del legno, come inviteresti a ripercorrere le connessioni tra suono e senso, tra attenzione materiale e contesto dell’intenzione formante? Per chiarire la domanda potrei allargarla in questo modo: il suono, secondo il tuo sentire, si pone come il corpo con l’anima per Platone, ossia come una sorta di ‘prigione’ all’interno della quale sarebbe ‘imprigionato’ il significato? Oppure si deve parlare di una sorta di originario sinolo che lega suono e significato e in cui le dinamiche formali provocano dal loro interno ogni tipo di suggestione eventuale? Il percorso di questo brano sembra dirigersi verso una frantumazione pulviscolare del suono. Durante l’ascolto sembra si possa identificare un elemento più naturale che sembra perdersi in una qualche ‘grotta elettronica’, un luogo in cui la voce del legno risulterebbe riverberata, filtrata, alchemicamente ‘cucinata’. Ha senso, secondo te, cercare di configurare – come provo a proporti qui adesso – un campo immaginativo complessivo provocato dall’atto del ‘formare’ e ‘deformare’ il suono? C’è qualcosa che ti verrebbe da dire in questo senso per raccontare il primo impulso che si è prodotto in questa prima ‘idea musicale’ e il suo successivo svilupparsi?
Bagnasco: Francamente credo che il suono, anche inteso come suono organizzato, possa caricarsi di un senso, di una sua anima semantica, oppure esserne libero, per così dire. Tutto dipende dall’atto interpretativo, di chi lo organizza e/o di chi lo fruisce, e dunque dalle varie deviazioni che prende l’idea musicale. Nello specifico in Spire si può ricercare un senso extra-musicale creando l’analogia con qualcosa legato al tatto o alla vista, più che all’udito: qualcosa di plastico, che si muove e si deforma, ma tende a ritornare a un suo stato iniziale, gradualmente, come la cera calda che mentre la modelli subirà sempre una deformazione autonoma legata alla forza di gravità, o come la lavorazione dell’argilla al tornio. Manipolazione, appunto, di qualcosa di ‘vivo’, o quantomeno carico di una sorta di magnetismo. E in una seconda parte del brano questa ‘cosa’ che è stata manipolata, si sgretola, si frantuma, si rimescola, si ‘cucina’, per usare una tua immagine. Ma siamo sempre e comunque a un livello semantico abbastanza astratto. Tutto il cd mantiene questo livello di astrazione, non ci sono ‘storie’ o ‘messaggi’ extra-musicali: le Trame del Legno sono percorsi, viaggi, intorno al suono del contrabbasso e alle sue trasformazioni. Un amico con molto entusiasmo si è vissuto tutto il cd come un unico ‘viaggio’ che compie questo suono, una storia che si crea dalla prima all’ultima traccia, con le sue tensioni, i suoi sviluppi, i suoi rimandi; ovviamente mi ha fatto molto piacere, giacché l’ordine dei brani è stato ovviamente oggetto di ampie riflessioni. Sempre da un punto di vista più semantico che formale, tutto il lavoro può rispecchiare alcuni miei stati d’animo: per esempio ci sono diversi momenti che potrebbero rimandare a un senso di inquietudine che effettivamente sentivo la necessità di esternare, ma si potrebbero trovare anche altri esempi. Nei vari brani ho voluto fare attenzione anche all’aspetto ‘retorico’, spesso evidente nella forma o nel fraseggio. Proprio in Spire ad esempio questo gioco di ‘poli di attrazione’ rimanda alla solita dialettica tensione-distensione, dissonanza-consonanza, anche se siamo piuttosto distanti dal sistema tonale. E questa dialettica può rimandare a sua volta a una dialettica di carattere emozionale. Non credo che la musica debba essere necessariamente concepita come un linguaggio (tanto meno un ‘linguaggio universale’), ma per quello che riguarda queste composizioni, ho ricercato assolutamente un’intenzione ‘comunicativa’, un linguaggio, e implicitamente una parvenza semantica.
II. – Apnea
“… ispirato anche dalla sua musica.”
SuonoSonda: L’antro risonante che mi sembra di intravedere in Spire direi che si tramuta nel secondo brano, Apnea, in una qualche forma di riverberazione ‘barocca’ dal carattere vagamente vivaldiano, nel senso almeno per cui è rintracciabile in Vivaldi, oltreché un’evidente attenzione alla ricezione (un poco meno centrale, forse, in due suoi estimatori d’eccezione: Bach e Couperin), anche una spiccata attenzione agli spazi del suono. La tua ricerca, attenta alle varie epoche del contrabbasso, ha generato frutti anche di recente. Puoi informarci circa la tua ricerca in ambito di musica del Settecento? E, sempre a proposito di Apnea, dici, nel booklet, che il brano è dedicato anche alla musica di Ezio Bosso. Hai voglia di parlarci di questa influenza e delle altre influenze che senti ti abbiano determinato maggiormente in questo brano?
Bagnasco: Mi sono effettivamente cimentato in diverse esperienze musicali e cerco di farne tesoro quando suono o scrivo una mia musica. Essendo tutto il cd anche una sorta di liberazione di idee, di emozioni e di suggestioni molto personali, ho lasciato che qualsiasi spunto, qualsiasi aspetto del mio suonare potesse avere libero sfogo. Mi occupo molto di musica barocca ma non mi viene da attribuire ad Apnea una forte paternità legata a quelle esperienze (ma lasciando l’inconscio e le abitudini strumentali libere di lavorare è difficile esprimersi con chiarezza), seppur un certo tipo di virtuosismo di arco e una forte ‘direzionalità’ nell’andamento della musica, possano suonare vagamente ‘vivaldiane’. Il prossimo lavoro discografico di cui mi sto occupando, a proposito di frutti più recenti, è decisamente più influenzato dalle mie esperienze ‘antiche’, non fosse altro per l’organico, consort di viole da gamba, e per la scrittura, molto polifonica e molto contrappuntistica (come poco accade invece ne Le Trame del Legno). Tornando ad Apnea, la dedica a Ezio Bosso è giustificata innanzitutto da una reale influenza della sua musica su questo brano, in particolare suggestionato da un suo vecchio pezzo per contrabbasso solo, ma anche da qualche altra sua composizione poco recente. Ho avuto il piacere di studiare con Ezio, ma anche di suonare la sua musica, e una delle cose che più mi ha colpito è l’energia, la fisicità della sua musica, il ricercare, utilizzando un materiale tematico e armonico abbastanza limitato, decise direzioni che veicolano emotivamente l’ascoltatore e l’esecutore, di continuo. Ovviamente una dedica è anche un omaggio e un segno di gratitudine, ma questo riguarda meno direttamente gli aspetti musicali.
III. – Tempo al tempo
“… dal ritmo al timbro …”
Suonosonda: Mi colpiscono, in Tempo al tempo, le asciugature dello spazio naturale del suono e una sorta di distruzione complessiva dell’aura spaziale. Sembra di ritrovare certune trasformazioni del suono che rientrano nel repertorio di certo ‘modernariato elettronico’, qualcosa che ricorda l’elettronica dei primordi, quasi compiendo un tributo ad essa, seppure dal punto di vista di una digitalizzazione ormai del tutto acquisita. Di fatto, il contrabbasso per via delle sue frequenze più basse ci ha insegnato ad apprezzare – dopo le composizioni e i lavori teorici di Gerard Grisey, ma anche prima con lo strutturalismo materiale di Karlheinz Stockhausen – il passaggio continuo che lega ritmo e altezza. Si potrebbe supporre che tu abbia voluto commemorare, con Tempo al tempo, il momento aureo che ha portato la musica a quelle acquisizioni percettive e formative?
Bagnasco: Implicitamente sì. Mi interessavano le esplorazioni attraverso le diverse categorie della percezione, i cosiddetti parametri del suono, la ricerca di una coerenza interna tra questi parametri, il gioco di mescolarli, per così dire. Ho in mente un vecchio discorso di Stockhausen, che riconduceva altezza e timbro al fattore tempo, quindi alla durata e al ritmo degli eventi sonori: per cui una successione ritmica portata a una certa velocità diventa un timbro, e viceversa, o un evento di altezza indefinita ripetuto velocemente oltre un certo numero di battiti al secondo (oltre una minima frequenza udibile), diventava una nota, e viceversa. Mi interessava giocare con queste trasformazioni percettive. Il brano è costruito prevalentemente su due ‘batterie’ di campioni: una realizzata da un suono determinato del contrabbasso, un do, che si trasforma gradualmente, l’altra da suoni indeterminati ottenuti percuotendo lo strumento; in un continuo dialogo e in una continua trasformazione.
IV. – Coicidenze combinate
“… è un intreccio tra due improvvisazioni, una basata su poche cellule di poche note, modulata in live electronics, l’altra predisposta per muoversi a mo’ di canone.”
SuonoSonda: Per quel che può valere la mia opinione, vorrei dirti che Coincidenze combinate è uno dei brani che mi è piaciuto di più. Molto presto, durante l’ascolto, mi sono accorto che stavo cercando di immaginarlo orchestrato, o almeno trasformato in un brano per più strumenti. Pensavo al timbro quasi organistico di certi brani di Olivier Messiaen o, piuttosto, a certe suggestioni timbriche di Fabio Vacchi. Mi dicevo proprio: “Questo suono potrebbe essere sostituito dal suono di una tromba con quel tipo di sordina. Questo gioco di rimandi lo trasferirei ai legni. Quest’altro lo allargherei a tutti gli archi“, e via dicendo. L’impressione complessiva è che tu possa sviluppare in futuro la tua ricerca anche molto come compositore. E, quindi, l’esercizio di strumentazione e orchestrazione potrebbe sorgere dall’argilla primaria del suono del contrabbasso. Per questo, più che una domanda ti vorrei fare una proposta; libero di accettarla o meno. Se non ti ripugna (e questo è il posto migliore per cestinare questa idea sul nascere, se credi), accetteresti la sfida di immaginare a grandi linee, per noi, un’orchestrazione di questo brano?
Bagnasco: Per questo brano mi risulterebbe più impegnativo che per altri, perché nato da un’improvvisazione con l’elettronica e alcune suggestioni timbriche faccio fatica a riportarle, a ripensarle, su strumenti. Posso provarci …ma in futuro. Prossimamente mi piacerebbe pensare a una versione unplugged de Le Trame del Legno, una sorta di suite pescando tra i brani, per contrabbasso e orchestra d’archi, senza elettronica. Sicuramente mi sento di padroneggiare meglio la scrittura per strumenti ad arco, rispetto ad altri strumenti, e più facile mi risulterebbe l’adattamento di brani nati sul contrabbasso.
SuonoSonda: Certamente il concentrarsi sugli strumenti ad arco sarebbe coerente in assoluto con l’ispirazione complessiva del cd (mi sentirei di dirti, per quelle ragioni di continuità tra altezza e ritmo, che, se fossi in te, non rinuncerei almeno a considerare l’apporto degli strumenti a percussione). Piuttosto, questa idea di una versione unplugged è, allo stato attuale, un vagheggiamento non privo di realizzabilità o è già un progetto?
Bagnasco: Direi che è più un vagheggiamento (al limite del vaneggiamento) che un progetto: un desiderio che potrebbe forse avverarsi una volta che la versione da concerto con l’elettronica avrà preso il volo e che mi sentirò pronto per propormi a qualche piccola orchestra d’archi con cui sono in contatto. Penso che non userei strumenti a percussioni, ma piuttosto tratterei gli archi anche come strumenti a percussione.
V. – Sbracato Snob
… piccolo preludio beffardo, …
SuonoSonda: L’aggettivo |snob| deriva dall’abbreviazione della locuzione latina sine nobilitate, che è stata usata in tempi passati per indicare coloro i quali vantavano titoli nobiliari senza averne diritto. Tra le loro fila si potevano trovare, per altro, personalità di primissimo piano come Voltaire o Goya. Nell’Ottocento il passaggio dallo snob al dandy ha contribuito a nobilitare davvero la non curanza dei ‘giramondo’, tra le cui fila avevano militato scrittori come Jonathan Swift e campeggiavano in primo piano figure letterarie d’estrema importanza come Joseph von Eichendorff, Charles Baudelaire o Oscar Wilde. Quotidianità e melanconie del Jazz e del Blues hanno reso consueta un’immagine ribaltata (ma non meno abissale) del sine nobilitate nell’ironica e giocosa figura del musicista capace di scherzare con i più alti titoli nobiliari – Count Basie, Duke Ellington, Nat King Cole o B. B. King – per alludere a destini di vita lambiti dal rischio della più totale invisibilità sociale, se non fosse per la qualità della loro musica. Questa tua pagina – in una tua personale maniera jazz -, mi dà l’occasione per farti una domanda che vorrei estendere a tutti i jazzisti delle ultime generazioni: hai mai letto L’uomo invisibile di Ralph Waldo Ellison? La sua lettura aiuta, secondo me, a scegliere in sé stessi il proprio più profondo ‘essere tagliato fuori’, il proprio modo di sentirsi ‘invisibile’ tra gioco e follia, vissuto, denuncia e ossessione.
Bagnasco: No, non ho letto libro, ma accetto l’invito ad approfondire. In realtà, il titolo di questo brano, Sbracato Snob, è prima di tutto un gioco, semplicemente l’anagramma di Contrabbasso: lo trovavo divertente e adatto a questo breve brano, che è per l’appunto un interludio nato così, per gioco, senza troppi pensieri e sine nobilitate. Un certo snobismo o un certo dandismo, secondo me, può ritrovarsi nel mondo del jazz, proprio per come si presenta il jazz, per come ci si avvicina: in linea di massima il jazzista si ritrova a studiare molto, teoricamente e tecnicamente e affronta problematiche estetiche per trovare una propria identità musicale, ma tutto questo al di fuori della realtà più accademica, si trova quindi a ‘vantare’ – per gioco – titoli nobiliari senza alcun diritto.
SuonoSonda: Perdonami se insisto, sai com’è, ognuno ha le proprie fissazioni (e qui possiamo fare un po’ come ci pare): vorrei leggere qui almeno questo passo conclusivo del romanzo di Ellison (che è stato, tra l’altro, a tutti gli effetti anche un jazzista), giusto per dare un senso un po’ più eviedente al mio rimando alla sua opera (e poi proseguiamo la nostra chiaccherata):“Andando sottoterra, ho liquidato tutto eccetto la mente, la mente. E la mente che ha concepito un piano di vita non deve perdere mai di vista il caos contro il quale quel piano fu concepito. Questo vale per la società quanto per gli individui. In tal modo, poiché ho tentato di dare una forma al caos che vive entro la forma delle vostre certezze, io devo uscire alla luce, devo emergere. E in me c’è ancora un conflitto: una parte di me dice, con Luis Armstrong: “Apri la finestra e fa’ uscire l’aria viziata” mantre l’altra dice: “C’era del buon grano verde prima della mietitura”. Naturalmente Luis non diceva sul serio, non l’avrebbe fatta uscire, lui, la vecchia Aria Viziata, perché ciò avrebbe interrotto la musica e la danza, quando ciò che contava era proprio la buona musica che usciva dal padiglione del corno dell’Aria Viziata. La vecchia Aria Viziata è ancora in giro con la sua musica e le sue danze e la sua diversità, ed io mi leverò e andrò in giro con la mia.”
Bagnasco: Quando si va nel profondo di ogni animo umano, l’impressione è che siano più le persone disadattate, ‘tagliate fuori’, di quelle perfettamente adattate nel loro presente: e qui entra in gioco il meccanismo di maschere pirandelliano, ed è in quest’ottica che spesso l’arte svolge una sua funzione, parlando alla parte più profonda di noi, o di alcuni di noi. L’ironia (così come il sarcasmo) e il gioco ad esempio, l’espressione di una follia o di un’ossessione, possono dare un tipo di prospettiva e veicolare il messaggio artistico in questa direzione, a cambiare l’Aria Viziata, per rinfrescare il grano verde. Nel mio piccolo ho cercato di giocare con il materiale sonoro, in Sbracato Snob ciò è evidente, e di farmi trasportare da esso; comprendere quanto ciò sia legato agli aspetti più profondi del mio animo aprirebbe squarci di ‘ermeneutica psicoanalitica’, di studio del mio vissuto e delle mie nevrosi, difficili da contenere in questa intervista, per quanto già capiente. Posso confermare che in questo lavoro in generale ho messo a nudo alcune parti emotive mie più profonde, ma si tratta sempre di nudità apparente e ambigua, difficile avere gli occhiali per notarla del tutto. Ho cercato di far girare un po’ l’aria (viziata) nella mia testa, e raccogliere il grano.
VI. – I Am Sitting in a Bass
“…un esplicito omaggio a una composizione piuttosto curiosa e nota di A. Lucier I am sitting in a Room (1969); …“
SuonoSonda: Mi sembra particolarmente significativo questo tuo riferimento a una composizione di Alvin Lucier, un membro della Sonic Arts Union che, anche lui, sebbene in modi ancora differenti, ha posto al centro del suo lavoro le proprietà fisiche del suono. Intanto, ti chiedo se conosci un indirizzo web che puoi consigliarci per ascoltare il brano a cui fai riferimento. Come accade per tutto ciò che riguarda il rapporto tra il suono del tuo strumento e quello di altri strumenti musicali, nello stesso modo non sono in grado di capire se il tuo lavoro sia indirizzato concretamente verso più fitte relazioni tra arti e scienze. Mi chiedo, anche in questo caso, se vedi possibilità di prosecuzioni in questo senso e quali. Con SuonoSonda abbiamo solo evocato il problema presso il Festival della Scienza di Genova del 2011, affrontando il tema della ricerca in musica. Ma il discorso è in realtà ancora tutto da intrapprendere. Ed inoltre, fosse anche in modo ingenuo, vorrei chiederti se è avvallabile, dal tuo punto di vista, riascoltando I’m sitting in a Bass, l’evocazione di un mondo sotteraneo, non poi così diverso da quello del brano precedente, ma declinato in termini più quotidiani, quasi si ascoltasse una fotografia sonora presa lungo i binari di un metrò?
Bagnasco: Il brano da cui abbiamo preso spunto lo si può trovare su Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=2jU9mJbJsQ8), e dura circa 45 minuti: ascoltarlo per intero è un’esperienza abbastanza estrema, come ci si potrà rendere conto dal link. Il lavoro di Lucier ha effettivamente qualcosa di più simile a un esperimento scientifico che a una composizione musicale: quasi come una dimostrazione empirica, da laboratorio, di come si comportano le risonanze di un luogo, sollecitate in una determinata maniera; non voglio aprire discussioni semantiche su quando un esperimento acustico sia musica e quando no, in questo caso c’è chiaramente un intento estetico e inoltre (o infatti) il risultato è estremamente suggestivo e affascinante. La ricerca in ambito scientifico si muove per obiettivi ben precisi (la verifica di una teoria) e con metodi ben precisi (che ne possono avvalorare una credibilità, appunto, scientifica); la composizione musicale (l’arte in genere) si può permettere il lusso del gioco, della sperimentazione finalizzata alla meraviglia (la meraviglia del risultato, o la meraviglia dell’azione sperimentale), la scoperta inconsapevole, obiettivi e metodi possono essere discutibili e innumerevoli. Quello che io e Alessandro abbiamo fatto (va precisato che l’idea di questo brano è proprio di Alessandro) è stato utilizzare lo stesso procedimento compositivo di Lucier applicato alla cassa del contrabbasso e con la voce del contrabbasso; ci siamo posti però il problema della fruibilità del risultato: abbiamo ridotto la durata della parte primaria che viene reiterata e sottoposta al processo (meno di 30 secondi rispetto al minuto abbondante di Lucier), e abbiamo montato il brano eliminando le parti del processo che ritenevamo ‘ridondanti’, e modificato qualche aspetto (per arrivare a 2’40” di durata totale). Non è rispettata alcuna veridicità scientifica del processo (seppur il processo è stato condotto con estremo rigore). Abbiamo creato due versioni del brano, nelle quali il processo è invertito (dal suono ‘normale’ alla ‘risonanza estrema dello strumento’, e viceversa), e abbiamo scelto quella più adatta al disco nel suo complesso; la versione alternativa sarei felice di pubblicarla su SuonoSonda.
SuonoSonda: I numeri IX e X di SuonoSonda sono già definiti pressoché per intero. Ma i numeri XI e XII sono in cantiere e ne possiamo parlare molto volentieri. Naturalmente, speriamo di ripartire con quel tipo di uscita più regolare che non siamo quasi mai riusciti a rispettare: due numeri l’anno per due anni. In questo modo, per lo meno non saremo costretti a ribadire troppe volte, presso chi pazientemente ci segue, questa ed altre interviste. E ci divertiremo di più …
VII. – Velato
“… strati sonori di brevi frammenti che si ripetono ciclicamente”.
SuonoSonda: La ciclicità di Velato (al di là di certe suggestioni intervallari che trovo vicine a certi climi a là De Chirico di Gian Francesco Malipiero e ad alcune cose di Maderna) mi induce a portare il discorso su un piano più astratto, in senso fisico e filosofico (ma invece sempre concretissimo per un musicista), ovvero il piano del tempo. Questo brano si sviluppa attraverso una esplicita sequenza ciclica. E da un punto di vista musicale la ripetizione è strettamente correlata con ogni possibile variazione, in un gioco di attese e sorprese parimenti percettivo e informativo. Nel tuo scritto Deviazioni dell’idea musicale ti eri fatto carico di affrontare l’atto creativo in musica correlando i punti di vista più astratti ai punti di vista più concreti, con taglio, direi, piuttosto empirista, senza cioè porre l’attenzione su un primato rigido di un’idea su un’altra. Ma nel momento della costruzione di questo disco e di questo pezzo ti è poi capitato di constatare il prevalere di alcune intuizioni generali del tempo rispetto ad altre? E hai subìto, o riconosciuto di subire, influenze di altri autori o anche di altre forme d’arte?
Bagnasco: Ho un rapporto conflittuale con la ciclicità su brevi frammenti musicali, sulle costruzioni architettoniche basate sui loop, da un lato mi provocano noia, dall’altra mi rapiscono, immagino sia così per molti. (è il motivo per cui ad esempio ho faticato ad apprezzare un certo tipo di minimalismo e ho detestato le discoteche, ma sono sempre stato rapito da brani pianistici e chitarristici che si muovono per arpeggi continui, anche con molte ripetizioni letterali). La noia è legata alla prevedibilità e alla facilità, ma il fascino è proprio legato alla sensazione di scorrimento del tempo che viene evocato, l’inesorabilità del tempo, e la sensazione di ipnosi che ti cattura: stasi e movimento allo stesso tempo. Potrà sembrare poco pertinente (e magari lo è) ma i miei genitori mi raccontavano che quando ero molto piccolo mi piaceva stare a fissare la lavatrice in funzione, mi teneva buono (non abbiamo avuto la tv in casa fino circa ai miei 5 o 6 anni, e evidentemente non ne avvertivamo l’esigenza); la lavatrice gira, ciclicamente, cambiando i colori e le forme in movimento, come un caleidoscopio (altro oggetto che mi ha sempre affascinato), ma rassicurandoti con un movimento continuo e, più o meno, regolare. Non so quanto ho subìto influenze di altri autori o di altre forme d’arte, sicuramente è accaduto, ma non saprei identificarlo con chiarezza; però mi piace pensare di essere stato influenzato dalla lavatrice.
VIII. – AbIpso
… un bordone costruito dai primi 16 armonici di una nota fondamentale, alla ricerca di un suono unico e multiplo, con il quale rapportarsi, in un continuo gioco di ombre e luci.
SuonoSonda: Per parlare di questo brano, AbIpso, vorrei più che farti una domanda proporti un’ulteriore suggestione che mi è venuta attraverso la lettura di un frammento poetico di Rilke che avevo per gioco postato su facebook e che mi sembrava ti avesse risvegliato qualche interesse, un passo – credo – estremamente suggestivo, anticipatore, e moderno, proprio dal punto di vista musicale:
Risonanza, non più con l’udito
misurabile. Come fosse il suono
che tutt’intorno ci trascende,
una maturità dello spazio.
–
Klang, nichtmehr mit Gehör
meßbar. Als wäre den Ton,
der uns rings übertrifft,
eine Reife des Raum.
AbIpso sembra proporre una sorta di monologo parlato, che scaturisce da e forse un po’ si contrappone a un fondo espanso ed omogeneo come davvero accade alle risonanze di un gong, seguendo una forma di approfondimento dei ambiti percorsi dai brani precedenti capace di giungere a consapevolezza maggiore, più profonda, una sintesi che davvero mi sembra di ritrovare nel accostamento a questa poesia di Rilke.
Bagnasco: La poesia di Rilke mi piace proprio perché fa riferimento al gong, e questi pochi versi mi paiono descrivere il fascino che il suono del gong in me ‘risuona’. AbIpso è effettivamente una sorta di monologo che sembra appoggiarsi su questo fondo-sfondo, questo spettro che risuona di sé stesso, poiché ogni suo componente è principalmente un sottomultiplo di un unico suono fondamentale (la seconda corda a vuoto), come se tutto provenisse da se stesso (ab ipso appunto); il gong ha uno spettro con parziali inarmonico, come le campane, quindi sotto il profilo puramente acustico i due fondi e le due risonanze che scaturiscono ben differiscono (ovviamente per contro gli armonici del contrabbasso sono ben distanti dall’essere simili a onde pure sinusoidali d’altra parte… ). Ma l’acustica in sé qui poco ci interessa; la rappresentanza di uno spazio attraverso risonanze, questo, nel mio piccolo, sono andato effettivamente cercando.
IX. – Sterpi e Frattaglie
“ha origine da un’improvvisazione con il live electronics“.
SuonoSonda: Quando con il VII numero di SuonoSonda – lo stesso in cui tu presentasti la tua versione di Solo di Stockhausen – incontrammo la musica di Valerio Sannicandro, la tua reazione fu particolarmente positiva, oltre che per le sue idee musicali, anche per il fatto che s’avvaleva di un organico molto attento e timbricamente scelto. In quello stesso numero Fabian Pannisello ci raccontava di come a Madrid si fossero organizzati, lui e un gruppo di compositori-interpreti quasi tutti allievi di Luis de Pablo, al fine d’eseguire e quanto più possibile replicare i loro propri brani. Adesso s’è avviata a Genova, per il secondo anno, la stagione dei concerti Le strade del Suono, diretta da Matteo Manzitti, a cui tu collabori con grande partecipazione a fianco di interpreti di notevole livello. Prendo proprio spunto da un brano composito come Sterpi e frattaglie per chiederti quanti margini di possibilità ci sono, secondo te, per dar vita a situazioni creative in cui diversi compositori/interpreti possano far fronte sia sul piano creativo, sia sul piano interpretativo e organizzativo, ai loro problemi, alle loro esigenze di comunicazione e di ricerca? E, personalmente, tu ti ritroveresti in un progetto del genere? Pensi di averlo già incontrato in Strade del Suono? Ovvero affideresti, qualora fosse possibile, la tua maturazione come musicista e come compositore a un progetto così orientato?
Bagnasco: Rispondo affermativamente e, con entusiasmo, alle tre domande! In generale sono convinto che un lavoro di squadra, se funziona, possa generare ottimi risultati, che da soli non si potrebbero raggiungere. A volte si tratta di preservare le singole identità, ma se una squadra funziona, possiamo darlo per scontato. Anche sotto il profilo compositivo ci possiamo accorgere che prevale, nella nostra cultura musicale più tradizionale e accademica, la figura del compositore che lavora per contro proprio e poi si fa eseguire, meccanismo semplice, affascinante e che ha generato grandi capolavori; ma ci sono anche altri meccanismi, di composizione collettiva, o ‘parzialmente collettiva’, che possono generare risultati interessanti, sia nel caso di collaborazioni dirette con esecutori, o con orchestratori, o di scrittura a due, o in un vero e proprio lavoro di gruppo (come è piuttosto comune in diversi ‘generi’ musicali). Nelle Trame del Legno ci sono cinque brani firmati con Alessandro Paolini, perché sono effettivamente nati dalla collaborazione con lui, e il contributo creativo è di entrambi. Da un punto vista più ampio, creativo organizzativo, trovo assai stimolanti quelle giovani realtà che, mosse da sincera passione e curiosità, riescono a diventare un centro di interesse, di confronto, di dialogo, di crescita (penso ad esempio all’Associazione Cluster – compositori europei, di Lucca, che ho avuto il piacere di frequentare la settimana scorsa). Per ciò che riguarda nello specifico le Strade del Suono e l’Eutopia Ensemble, credo che sia uno dei progetti più belli e interessanti a cui io abbia preso parte, sono convinto del lavoro che stiamo facendo e contento dei risultati che stiamo ottenendo.
X. – Legno pesante
… nel ricordo di alcuni ardori giovanili…
SuonoSonda: Se non ti dispiace, userò questa traccia per allargare il discorso oltre questo brano, ben felice se tu decidessi motivatamente di ritornarci. Al di là del gioco di parole tra ferro e legno, che porterebbe il discorso su fronti più serenamente rock, la composizione a patterns di Legno pesante mi ricorda, almeno per certi versi, la maniera di comporre tipica della tecno music. Un modo di comporre pressoché esclusivo della computer music mi sembra concorrere alle tue ‘trame del legno’, in questo brano in particolare, ma – direi – in generale in tutto il cd. Abbiamo parlato di aspetti materiali, interpretativi e ricettivi del tuo lavoro, qui e altrove, ma dal punto di vista più propriamente compositivo ti sei ritrovato a scoprire modalità di montaggio o di sequenza che prediligi o che ti danno più soddisfazione.
Bagnasco: …non saprei. Mi piace l’aspetto del montaggio, quasi come un regista cinematografico, dell’editing e del mixaggio, e ciò sicuramente mi ha indirizzato nella realizzazione di tutto il lavoro. Mi piace poter disporre del materiale sonoro come un pittore dispone dei suoi colori, disponendoli sulla tela e modificandone i contorni e i piani (con il mio vantaggio, notevole, di poter sempre tornare indietro sui propri passi). L’utilizzo di software come ProTools, consente anche visivamente, di montare il materiale come fosse un film o come fosse un dipinto (come fosse un dipinto, nella sua dimensione verticale, che si svolge in un film, in una sua dimensione orizzontale). Dal punto di vista tecnico, di modalità compositive, utilizzare pattern che si ripetono, ciclicamente o non ciclicamente, o che si sovrappongono, può aiutare nel costruire una struttura di un brano. Più che alla techno, io penso proprio al riff, come breve cellula melodica ritmica, solitamente modale, che si reitera ossessivamente, tipica del rock e dai suoi derivati più hard e metal (evidente già in alcuni brani dei Rolling Stones, ma struttura fondante di molta musica successiva dai Led Zeppelin, ai Metallica, ai Dream Theater).
XI. – In Vano
…, il brano più ‘elettronico’; … un contrappunto di timbri che nascono e muoiono uno nell’altro”.
SuonoSonda: Tu per primo denunci In vano come il brano più propriamente elettronico. Lo è, direi, anche nello stile, che approfitta di improvvisi vuoti e arriva a deformare componenti del suono ben selezionate. Ne sortisce (ma potrebbe essere solo una mia impressione) una sorta di viaggio nell’inconscio del suono del contrabbasso, se così si può dire, secondo una ‘rappresentazione’ dell’inconscio, magari un po’ datata – nello stile con cui ad esempio un Hitchcock, in taluni suoi film, presentava gli stereotipi del sogno attraverso interventi di Dalì – … una stereotipia del immaginario che potrebbe comunque portare l’ascolto, appunto, a rigore fuori dall’esplorazione realmente percettiva del suono naturale del contrabbasso, per spingerlo verso un regno alla fine artificiale del suono ma che muove dalla sua più intima natura, e capace di evidenziarne il lato ‘nascosto’. E qui mi viene la domanda. Sala di registrazione e collaborazione con il computer possono aver avuto un ruolo analitico rispetto al suono, e addirittura critico, ovvero capace di denaturare il suono a partire dal suo consueto reagire allo spazio e al ambiente e quindi capace di tramutare, attraverso questa trasmutazione del suono, la stessa percezione dello spazio e dell’ambiente, un po’ come è accaduto, muovendo proprio da una analisi e da una critica dei materiali, alla visione e alle forme nell’arte spaziale e ambientale di Lucio Fontana?
Bagnasco: Non credo di essere in grado di rispondere con obiettività storica a questa domanda, non ho competenza specifica in merito. Già il famoso testo del 1936 di W. Benjamin, sull’arte e sulla sua riproducibilità tecnica, è piuttosto significativo a riguardo. Trovo invece altrettanto significativo come il disco, il cd, il file audio, abbiano cambiato la percezione e l’aspettativa dell’utenza: sia, come è più evidente, in termini di abitudini sociali (la frequente presenza continua di musica in quasi ogni momento della giornata, l’ascolto in cuffia come creazione di un arredamento sonoro, di uno spazio personale che faccia da colonna sonora ad alcuni momenti, il video e l’ascolto in rete, e moltissimi altri aspetti del nostro quotidiano musicale), sia per ciò che riguarda l’ampia diffusione e circolazione di svariate musiche di diversi contesti e culture, sia per ciò che riguarda la qualità di ciò che viene suonato (il cd ci abitua a una certa ‘perfezione’ esecutiva, e sbagliare è un lusso che sembrano permettersi solo le musiche che lasciano ampio margine all’improvvisazione). Se ciò riguarda la fruizione di una certa musica, indubbiamente però ciò è influente anche su chi la musica la crea. Credo che sala di registrazione e computer abbiano avuto un ruolo analitico sul suono, non solo perché hanno permesso di studiarlo con mezzi nuovi e analizzarne i dettagli, ma anche perché ne hanno evidenziato alcuni aspetti, e a un limite tale per cui in una registrazione risulta difficile distinguere ciò che è naturale, da ciò che è artificiale; forse perché la registrazione è comunque un’operazione artificiale, che per quanto ci provi non può riprodurre una situazione acustica con strumenti tradizionali; così come in fondo anche il suono più ‘naturale’ una volta contestualizzato musicalmente sarà sempre il frutto di un artificio.
XII. – Comunque
“… pizzicato, un avverbio di modo, tranquillo, consonante e un po’ lontano…”
SuonoSonda: Il rimando alla lontananza come il rimando all’evasività, all’indeterminatezza, all’evanescenza o all’ineffabilità, è ricorrente e molto frequentata dalla musica del XIX e XX Secolo, lasciando – direi – tracce molto forti e suggestive anche nelle musiche del presente. In particolare, il pizzicato del contrabbasso, ancor più di quello di altri strumenti a corda può dar adito a una vibratilità ampia e suggestiva, al punto che alcuni generi musicali l’hanno premiato in particolar modo. In Comunque il pizzicato mi sembra suggerire qualcosa come una voluta noncuranza. Mi piacerebbe chiederti di provare ad allargare questa suggestione a un concetto contiguo a questo, seppure in un modo più controllato; mi riferisco al concetto di dimenticanza proposto da Luciano Berio in un suo scritto tra i più sconcertanti delle sue Lezioni Americane, intitolato appunto Dimenticare la musica. Ne leggo un passo conclusivo nella speranza di rendermi comprensibile, senza orientare troppo la domanda: “Perché dunque dimenticare la musica? Perché ci sono mille maniere di dimenticare e tradire la sua storia. Perché creazione implica sempre un certo grado di distruzione e di infedeltà. Perché dobbiamo renderci capaci di suscitare la memoria di quello che ci serve per poi negarla, con una spontaneità fatta, paradossalmente, anche di rigore. Perché, in ogni caso, come diceva Eraclito, non è possibile entrare due volte nello stesso fiume. Perché la consapevolezza del passato non è mai passiva e non vogliamo essere i complici sottomessi di un passato che è sempre con noi, che si nutre di noi e che non finisce mai”.
Bagnasco: Ci sono brani che nascono senza titolo e diventa difficile dare loro un battesimo; in alcuni casi l’ambiguità e la semplicità di un avverbio possono aiutare. Comunque (sia il brano, che l’avverbio) nasconde un senso di abbandono, e rassegnazione, di noncuranza, come tu scrivi; forse anche la consapevolezza di ciò che è vano, e che tutto, comunque, scorre, e il dimenticare assume una chiave più psicologica: con la paura di dimenticare si vive il presente, con distaccata serenità.
XIII.- Residui
“… ossessivamente immersi nello studio del repertorio più noto..”
SuonoSonda: All’opposto che in Comunque, in Residui sembri voler mettere in scena la ‘prosa del mondo’, potremmo dire, il suo aggrovigliato rumore di fondo, inteso anche come eccesso d’informazione, naufragio agrodolce nel caos di voci multiple e scoordinate che provengono dal nostro rapporto col passato musicale e con il mercato odierno, tratti davvero residuali che hanno comunque un rapporto ossessionante con noi, musicisti o ascoltatori, in quanto assedio di influenze, volontarie e involontarie, protratte nel tempo, tra utilità e sperpero, come s’affastellano le cose di famiglia in un vecchio solaio mai del tutto riordinato o affatto disordinatissimo e che suscita in pari tempo nostalgia e oppressione. Che rapporto hai, e soprattutto che rapporto ha il contrabbasso, secondo te, con la sua storia oggi? Ci sono strumenti, come il pianoforte, che nel Novecento hanno ampiamente ‘litigato’ con il proprio passato, per poi riscoprirlo e reinventarlo attraverso nuove concezioni del suo suono più e più volte ripensato. Cosa succede, invece, oggi al legno del contrabbasso rispetto al suo passato, alla sua cultura e alla sua tradizione? Ha subito revisioni così radicali come quella vissuta dal pianoforte o le cose sono andate diversamente? E tu come ti poni rispetto al residuo di tali vicende?
Bagnasco: Più che la prosa del mondo è la prosa di un mondo specifico, cioè quello del contrabbassista ‘classico’, con le sue specifiche nevrosi e le ossessioni, ma ovviamente può essere interpretato con metafore più ampie: il caos che ci viviamo dentro, la confusione che vuole essere buttata fuori in un raptus di follia. Il rapporto che ho io con la storia del contrabbasso è abbastanza sano, anzi da studioso curioso, che ne approfondisce diversi aspetti e ‘fa ricerca’; il mio rapporto è malato invece nei confronti del repertorio più rilevante e più famoso, per gli esami, le audizioni, i concorsi, la competizione e la paura del giudizio. Il rapporto che ha il contrabbasso con la sua storia è quantomeno insolito: ha una storia piuttosto antica (se si pensa che gli strumenti di Gasparo da Salò, tanto lodati anche da Bottesini, risalgono al XVI secolo), ma un repertorio molto limitato nella musica da camera, e limitatissimo sul fronte solistico, a meno di scomodare quegli stessi contrabbassisti virtuosi che si sono scritti la loro musica, e che costituiscono il corpus pressoché totale del repertorio solistico di rilievo; è stato uno strumento reietto almeno fino alla metà del Novecento, quando ha avuto la sua fortuna al di là dei contesti ‘colti-accademici’ (il jazz in primis), e quando nuovi compositori hanno iniziato a valorizzarne le enormi risorse timbriche, e le varie tecniche, di cui può disporre, e quando le scuole contrabbassistiche hanno preso piede formando un maggior numero di virtuosi. Attualmente, come per molti altri strumenti, ma un po’ in ritardo, si è sviluppata una riscoperta della prassi storica su questo strumento, e in generale una più profonda analisi, anche storica, delle composizioni a lui dedicate.
XIV.- Lunari di Giada
“Un arcata continua che fruscia sul ponte fa da sfondo alla fotografia”.
SuonoSonda: Il sogno di trasformare il proprio canto flautato nel canto di un sax, se non addirittura in quello davvero di un flauto, non può non farmi pensare alla vicenda di un collaboratore di SuonoSonda, Stefano Pastor, che – per fare in modo che il suo violino potesse attingere al repertorio jazz del sax soprano – ha letteralmente trasformato il suo strumento con interventi di liuteria. Qui, il tuo intento sembra piuttosto quello di segnare un qualche congedo, foss’anche un congedo provvisorio, da un ascolto, quello di Le trame del legno, della cui molteplicità abbiamo provato – nello spazio di una semplice chiacchierata scritta – a rendere servizio e a farci interpreti. L’immagine del ‘giramondo’ mi rimane come archetipo di fondo di questo ascolto. Poco c’entra forse con le trame del legno; o forse c’entra in modo sotteso. Altri, comunque, è sperabile che ci vedano altre suggestioni e altri archetipi; e credo succederà. Non so se chiederti altro, o se lasciar risuonare questi lunari di giada. Se hai qualcosa da dirci, saremo contenti di recepirla. E comunque grazie per questa avventura.
Bagnasco: Sì, Lunari di Giada è un congedo: un brano che inizialmente non sapevo neppure se inserire nel disco perché mi sembrava troppo diverso dagli altri. In realtà in tutte le precedenti tracce, dove più dove meno, è presente una certa dose di ansia, tormento e caos, tutte cose che fanno parte di un periodo della mia vita e che sentivo il bisogno di buttare fuori. Lunari di Giada forse è anche il passaggio a una fase successiva, più serena. O quantomeno, questa è un’interpretazione possibile. Grazie a te per l’approfondimento e la chiacchierata.