Questo è cantiere aperto. Sto riscrivendo direttamente su questa pagina uno scritto del 1984 intitolato L’oggetto e l’occasione. Pensieri attorno a ‘Oggetto amato’ di Sylvano Bussotti. La versione di allora non la ritengo più accettabile sotto molti punti di vista. Era per altro un’elaborato di un ventiduenne che per le sue forze impostava la sua formazione su troppe scacchiere: se aveva ben chiara l’importanza di formarsi criticamente, faticava però – tra diverse influenze e qualche diffidenza – a capire come.

Mi impone l’impegno di riscrivere quel testo non tanto l’insieme delle critiche – che condivido in grandissima misura (e che per molto tempo mi hanno indotto a archiviare il tutto) -, quanto piuttosto gli apprezzamenti. A distanza di anni provo una forte riconoscenza verso chi lo accolse, nonostante e proprio per i suoi difetti. 

Questa riscrittura richiederà comunque un po’ di tempo e di pazienza. Intendo renderla disponibile alla lettura nel suo farsi, anche perché aspiro a ritornare su alcuni spunti ancora accettabili. E intendo farlo anche attraverso la considerazione di altri momenti della musica di Bussotti che ho trovato particolarmente significativi, correggendo, oltre le sviste e le imprecisioni, anche alcune prospettive ormai inadeguate e molto tratto del linguaggio nel suo insieme. Tutto questo è possibile e auspicabile che risvegli la comunicazione con amici di quegli anni e conoscenti competenti in materia.

Anni dopo la sul scrittura Bussotti mi sorprese, riportando la chiusa di L’oggetto e l’occasione nella partitura, del 1989 (e nelle note di copertina del CD inciso per la Ricordi) di Ninfeo (1992), ulteriormente commentandola: Il pensiero che prorompe nell’arte” – io avevo scritto in L’oggetto e l’occasione“pur modificandola radicalmente, in realtà non la scalfisce; perciò esso qui cade taciturno e in ascolto davanti a quella in un sogno ragionante la cui razionalità o intelligenza che sia è appunto necessaria e perciò priva di quella libertà che l’arte davvero pone come suo oggetto primo”. E Bussotti aggiungeva: “Parole di Artista da Giovane – Francesco Denini – dove la dialettica sembra ripercorrere adorniani meandri capaci di riflettere ogni senso occulto nell’abbaglio brutale, che un improvviso lampo saprebbe, per un istante, disvelare chiarissimo.” Stavo in realtà davvero solo cominciando a delineare una mia qualche scrittura musicale. Ma l’incoraggiamento non era da poco e il suo effetto agisce ancora adesso. 

Per altro, l’esito più riuscito del mio impegno nel cercare di restituire, con parole, ‘qualcosa’ della vasta poetica del Maestro Bussotti credo sia contenuto nel saggio che Bussotti stesso mi chiese di scrivere per il libretto di presentazione della sua opera lirica L’ispirazione, scritto che intitolai Il tempo che ci guarda (1988). Tale secondo scritto diverrà nel tempo la ragione iniziale di una mia tesi di laurea, presa e lasciata per anni, dagli orizzonti piuttosto diversi e comunque apprezzata, La concezione del tempo nella musica contemporanea (2016)

 

Le stesse note a piè di pagina, in grigio, sono spesso il fase di precisazione.

 

 

 

L’OGGETTO E L’OCCASIONE 

Pensieri attorno a Oggetto Amato di Sylvano Bussotti – riscrittura (1984-2023)

 

 

CINQUE TUNNEL

Lo sai: debbo riperderti e non posso

“Se mi esamino attentamente, devo ammettere che questo e nessun altro è sempre stato lo scopo del mio creare: acquisire la coscienza dei maestri.” Con queste parole il maestro Thomas Mann si rivolgeva all’amico Paul Amman in una lettera del 1915. A più di un secolo di distanza queste semplici parole hanno il potere di riproporre la questione dell’essenza dell’influenza letteraria e del suo costituirsi entro canoni orientati, in una modalità così ampia che potrebbe essere estesa anche ad altre forme di espressione, come ad esempio la musica. Creare non è imitare, ma attingere a una coscienza reale di ciò che è stato e riattivarne la vitalità. Tale questione potrebbe essere altrimenti espressa dal seguente dubbio: la coscienza del passato potrebbe anche oggi risultare più esatta allorché fosse sospinta dall’apporto di una dinamica attività creativa o piuttosto la sua forza starebbe proprio nel non oltrepassare l’attenta ricerca storica e filologica, attenendosi scrupolosamente ai canoni che se ne trae? Comunque sia ponga la questione, il motto nietzschiano “per capire qualcosa dell’arte si creino opere d’arte” ha pure incontrato, dai tempi di questa lettera ad Amman, numerose e consistenti obiezioni, alcune delle quali ancora attuali e aperte. Nonostante gli hegeliani trascendimenti dello spirito assoluto oltre l’arte e la religione o gli smarcamenti di molte e diverse vicende artistiche rispetto alla realtà politico-economica, nemmeno i dadaisti, o poi il movimento Fluxus (che pure ci arrivarono molto vicino), avrebbero pensato a una concreta inopportunità dell’arte. Ripensate oggi, possono addirittura, tali parole, rivelare fino a che punto abbiamo bisogno dell’arte e quale frattura si verrebbe a creare col passato rinunciando a qualcosa che almeno s’approssimi ad un’attività artistica in tensione cosciente verso una qualche verità. Come può l’azione umana, contesa tra oggettivazione (Entäusserung) e alienazione (Entfremdung), aver ragione del dubbio secondo cui il suo impegno potrebbe risultare paradossalmente neutralizzato se avviato senza memoria storica e senza influenze sul sentiero di un disvelamento ontologico della verità? Occuparsi d’arte e spendere intensamente le proprie energie in un’attività creativa è qualcosa che possa veramente espandere la nostra coscienza sino a renderla autenticamente capace di formare come impegno su una realtà più reale? Nel 1966 Theodor Adorno, dopo cinquant’anni dalle riflessioni del suo stesso maestro Thomas Mann, criticava con il suo stile risoluto le stesse condizioni di possibilità storiche della creatività partendo da un’irrisolta dicotomia tra il suo essere apparenza e il suo realizzarsi oltre ogni condizionamento concreto: “L’inevitabile carattere di apparenza dell’arte diventa scandalo di fronte ad uno strapotere della realtà economica e politica che non aprendo alcuna prospettiva alla realizzazione del contenuto estetico, tramuta in derisione anche la sola idea di apparenza estetica.” Da allora è cambiato e come il contesto dell’arte? Cosa ‘non funziona’ in questa nota conclusione adornana o cosa di valido invece si insinua in essa, e permane, mettendo in forse la nostra presunta coscienza dei maestri? 

Eugenio Montale Le occasioni Mondadori; Milano 1949. 

Thomas Mann Lettere a Paul Amman (1915-1952) Max Schmidt – Römhild Verlag 1959, tra. it. Mondadori, Milano 1967. 

Harold Bloom Anatomia dell’influenza Bompiani 2… 

Harold Bloom Il canone occidentale Bompiani 2…

Friedrich Nietzsche … 

Martin Heidegger Sentieri interrotti [?]

István Mészáros La teoria dell’alienazione in Marx Editori riuniti (ed orig.1970) 1976

Umberto Eco Del modo di formare come impegno sulla realtà in Opera Aperta Bompiani 1962

Theodor Adorno Teoria Estetica Einaudi (ed orig. 1969) 1970. 

 

Crisi del giudizio

Rinunciando all’arte è sicuro che ci si possa tranquillamente dedicare alla costruzione di quella che, in particolare in quegli anni, si sarebbe detta una teoria critica in grado di affermarsi sulla realtà economica e politica? Se può sembrare che ci sia qualcosa di ingenuo in questa domanda, così perentoria, non potrebbe essere anche solo perché ciò che ce la fa apparire ingenua si avvale di una finta ‘saggezza’, volta a nascondere rinuncia, fiacchezza e appiattimento entro l’alveo d’una coscienza sostanzialmente spenta? Non si rischia di perdere solamente la capacità di intuire più adeguatamente la coscienza dei grandi del passato tramite la quale solamente potremmo sperare di trovare sempre nuovi stimoli per comprendere e migliorare il reale. La rinuncia all’arte (supponendo per ipotesi che si possa porre questo problema e in questi termini) implicherebbe forse il rischio di perdere la nostra stessa facoltà di giudizio, il suo esercizio, e con esso le stesse condizioni di possibilità della nostra facoltà critica? Adorno, per rendere il più possibile radicale il problema, poneva la questione in termini storicamente provocatori, chiedendosi se fosse davvero più possibile la poesia ‘dopo Auschwitz’. E molti hanno pensato, con diversi gradi di legittimità, che il problema fosse nella domanda. Non si può però escludere che Adorno provasse solo a rendere più cocente il problema di quanto le condizioni storiche possano determinare o almeno condizionare fortemente le stesse strutture profonde di quella nostra stessa facoltà di giudizio che le pratiche artistiche intenderebbero attivare e mantenere vivide. Forse che spostarsi verso una riflessione sul mondo che non tenga conto dell’esperienza estetica (anche qualora essa pure ci parli del nostro smettere di presumere che ci sia un mondo) vuol dire allontanare in una sorta di oblio quel senso di precarietà dell’arte, anche e proprio rispetto alle sue condizioni storiche, che solamente ci preserverebbe un poco dal rischio di renderci ciechi per meglio vedere? Se in un passato borghese ottocentesco si poteva parlare con proprietà di una fuga dalla realtà nell’arte, oggi la situazione, ribaltatasi, potrebbe offrire una quieta ideologia della realtà quale rifugio dall’inquietante coscienza implicata nell’arte? Si porrebbe quindi il problema di salvaguardare quell’unica coscienza spiazzante che possa sperare di risvegliare provocatoriamente un nostro sguardo neutralizzato sulla realtà e come paralizzato ancor più che sul versante dell’utopia, su quello delle possibilità? Il salto che la ‘vita etica’ compie verso la ‘vita estetica’ negherebbe arbitrariamente l’anima estetica dell’etica? Deciderebbe di questa rimozione anti-artistica, una tendenza più ampiamente illiberale e senza comunicazione critica, volta a negare ogni possibilità di porre seriamente la questione di una qualche rintracciabile relazione che leghi storia umana e verità nell’arte?           

 

Atteggiamento estetico, giudizio, pensiero uniformato

Che l’arte e la riflessione sul bello si trovino tendenzialmente in contraddizione con il mondo che le ha espresse e i suoi retaggi più recenti è in un certo senso già riscontrabile a partire dal momento in cui questa s’impose. In Kritik der Urteilskraft (Critica del Giudizio)- opera spesso indicata come prima sintesi, se non proprio atto di nascita dell’estetica moderna – Kant propone riflessioni interessanti nel capitolo Dell’unione del sentimento di piacere col concetto di finalità della Natura; in particolare, dice “La scoperta dell’unione di due o parecchie leggi empiriche eterogenee della Natura sotto lo stesso principio è fonte di notevolissimo piacere”. Questo sentimento di piacere che relazioni ha con i sentimenti di gioia, di felicità e di bellezza? E che rapporti avrebbe con la facoltà di pensare il particolare come     

“Si richiede qualcosa che nel giudicare della Natura richiami l’attenzione sulla sua finalità rispetto al nostro intelletto; uno studio di ricondurre, per quanto è possibile, leggi eteronome a leggi più alte, sebbene sempre empiriche, per provare, se riusciamo nell’intento, quel piacere che deriva dalla concordanza della Natura con la nostra facoltà di giudizio”

La contraddizione che fa oggi l’arte “antitesi sociale della società non deducibile immediatamente da quest’ultima” (Adorno Teoria Estetica). 

[…]

… 

 

Tra vertigine e misura

Il pensiero che si vuole ‘critico’ senza quella tensione che postula una qualche unità irraggiungibile rischia di impantanarsi in una palude di aspetti eterogenei. In tale rassegnata eterogeneità è fatale oggi che l’assedio di agenti di condizionamento sociale operanti …

[…] 

 

Oggetto Amato

Ciò che necessita queste premesse può avere ricadute sulla stessa riflessione sulla musica e le sua analisi.

[…] 

 

Quel soggetto orientatosi all’analisi musicale che fugge dall’elemento aggiuntivo […]

[…]

Questa incapacità verso l’altro della soggettività isolata impedisce ai suoi rapporti con l’oggetto estetico, e in particolare con l’oggetto musicale, quella tensione che garantirebbe di costellarsi in teoria con un complesso di altri e diversi momenti culturali attorno a un non raffigurabile ma postulato oggetto amato. 

 

 

OGGETTO AMATO

P.: “Ma tu credi di essere mai venuto meno a questa fede di cui bisognerebbe conoscere con più concretezza l’oggetto?  B.: Una volta in Francia giocai sul termine Amateur … La mia fede, la mia curiosità, la mia fede in quel qualcosa che ti dicevo è infondo questo amore… 

E. Pinzauti Musicisti d’oggi Ed. ERI Intervista a S- Bussotti 1970

Il titolo, il suo contesto, il senso

[…]

 

 

APPARENZA

Conciliazione apparente

[…]

Il non destinatario

[…]

Pièce de chair 1975

[…]

Apparenza ed esperienza

[…]

 

 

GRAFICA E MUSICA

Ciò che le immagini dicono è un ‘guardate un po”, esse hanno il loro soggetto collettivo in ciò a cui rinviano, è un rinviare all’esterno, non all’interno, come la musica” (T. W. Adorno Teoria Estetica)

Interno ed esterno

[…]

Alla ricerca del tempo

[…]

Illibertà che cambia

[…]

Autoritratto

[…]

 

 

MITOLOGIE DANZATE

Materialità

[…]

Echi

[…]

Spirito dialettico

[…]

Mitologie danzate

[…]

Eros e conoscenza

“È da un rifiuto che il reale prende esistenza; ciò di cui l’amore fa il suo soggetto è ciò che manca nel reale; ciò a cui  il desiderio si arresta, è il sipario dietro il quale questa mancanza è figurata dal reale” (Lacan)

[…]

 

 

CONCLUSIONI PROVVISORIE

Eredità

Ritengo necessarie alcune precisazioni attorno al mio interesse per il pensiero di Theodor W. Adorno. Lungi dal potermi attualmente considerare uno studioso senza lacune in questo campo (questo scritto non vuol essere un ap-prodo di ricerche quanto piuttosto una riflessione attorno determinate esperienze), temo comunque che gli intellet-tuali che si rapportano all’opera del pensatore francofortese non riescano ad evitare facilmente quella reductio ad hominem che la filosofia adornano non smise mai di criticare.

[…] 

Il sogno del prigioniero

La vicenda del mio pensiero accanto ad un’opera d’arte non può forse in nessun modo rinunciare a quel residuo di estraneità che ogni volta assale l’arte e la mette in pericolo. Sia chi a partire dall’oggetto dell’analisi sviluppa rizomatici intrecci semiotici, sia chi proietta in essi i mostri della mente o le diapositive della storia, sia chi non rinuncia ai fantasmi chi non rinuncia ai fantasmi della propria esperienza introduce qualcosa di suo, che a chi giunge non potrà più del tutto risultare disgiunto dall’oggetto.

[…]

Il pensiero che prorompe nell’arte pur modificandola radicalmente, in realtà non la scalfisce; perciò esso qui cade taciturno e in ascolto davanti a quella in un sogno ragionante la cui razionalità o intelligenza che sia, è appunto necessaria e perciò priva di quella libertà che l’arte davvero pone come suo oggetto primo.