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Raccolgo in questa pagina brani musicali, testi e spunti critici, tramite i quali mi sono confrontato e mi confronto quotidianamente con la composizione e il pensiero musicale. Parole e titoli in grassetto rimandano a link, presenti o in preparazione, concernenti partiture, testi, foto, audiovideo e approfondimenti vari. Aggiornerò qui nel corso del tempo l’elenco dei miei lavori, che intendo anch’essi interni al progetto SuonoSonda da me condotto in co-direzione con la compositrice CARLA MAGNAN. Avendo circoscritto il mio impegno pressoché unicamente nell’ambito di SuonoSonda, direi che questo solo è lo spazio in cui si possono valutare mie proposte e risultati: chiunque dedichi tempo a queste righe è quanto meno il benvenuto.

 

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La mia formazione confida nella ricerca oltre i limiti cosiddetti ‘naturali’ e nell’attenzione ai processi naturali, alle tecniche, alla critica alle tecniche, alla cura artigianale, alla coscienza storica di modelli, strutture e mezzi, allo scavo in profondità e alle revisioni a distanza di tempo, al pensiero critico e analitico, all’attenzione al dubbio che sta dietro ogni crisi e alla possibilità di trovare sempre nuove risposte – mai paralizzanti – a tale dubbio. 

Tale possibilità corrisponde a un’esigenza profonda, la cui energia viene potenziata dal calcolo e da vagliate innovazioni della scrittura, nella prospettiva di tener fede alla costruzione di una soggettività in continua riformulazione, alimentata dai suoi stessi spiazzamenti, raffinata quanto più è alimento a sé stessa, sondando orizzonti in equilibrio tra vertigine e misura, pluralità dinamiche e propulsioni creative, deragliamenti e calibrazioni, latenze inconsce e presenze professionali, intesa – tale soggettività – a una mediazione ogni volta diversa tra tutte queste influenze.

La complessità è accolta qui come condizione e libertà, come ‘patologia’ e come cura.

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Pur partendo da basi artigianali e attento agli altrui i buoni esiti, il mio personale desiderio tende verso gli aspetti più puri della creazione musicale – consapevole del articolato dibattito in proposito e rispondendo alle condizioni in cui mi trovo calato – orientati, tali aspetti, verso una prospettiva di complessiva emancipazione.

Per altro, ogni composizione che qui propongo – compiuta o meno, e che sia sintomo o cura – non nasce dall’isolamento, e conserva tracce di incontri bellissimi. Non è naturalmente un giudizio di valore, ma il partecipare di cose accadute, visioni vissute, vicende umane e sentieri percorsi più volte e attentamente, e a cui sono profondamente grato.

Con lo stesso sentimento ogni altrui esperienza musicale, vicina o lontana dal mio ambito, è da me accolta in prima istanza come un gesto generoso: la ricerca di una modalità critica che non includa e non escluda a priori, ma sappia cogliere cosa possa far emergere e cosa debba favorire è da molto tempo una mia aspirazione primaria. 

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È da poco uscita una raccolta di lettere attorno alla musica, intitolata Groundche lo scrittore e psichiatra Marco Ercolani ha giocato a intessere liberamente con me nell’arco del 2022. Un libro di poesie, intitolato Suono (1992-2023) è invece opera già del tutto terminata. E, al suo fianco, è opera anch’essa terminata la raccolta di tavole verbo-grafiche Canto di Primanorte (1986 – 2017). La mia tesi di laurea in filosofia La concezione del tempo nella musica contemporanea (2016) promossa a pieni voti, è in fase d’aggiornamento. ‘Suono’ e ‘tempo’ sono nel complesso i miei principali ambiti di pensiero e creazione.

Raccolgo qui un brogliaccio di scritti sulla musica, anch’esso in continuo aggiornamento, il cui titolo provvisorio è Correzioni, revisioni, mediazioni (1976 – 2023). Tali appunti in alcuni casi promettono di configurarsi in opere più complete, testimoniando comunque uno mio zigzagare istintivo, che mi ha spinto, liberamente e occasionalmente, ad esercitarmi su riviste o su blog nella pratica della recensione a libri di critica letteraria o di poesia, con un occhio costante alla musica. 

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Composizioni arrivate ad essere indipendenti da me, per maturazione, e per aver avuto in alcuni casi ottime interpretazioni e accettabili registrazioni, sono: Solo ‘Ecloga’ per clarinetto in si bemolle (1997), Strappi e Argo Navis dalla raccolta Corridoi teatrali per violino e suoni elettronici (1996), Novilunio di membra per voce femminile, clarinetto, violino e percussioni (1992), My Life before Dawn per voce e orchestra jazz (1998) (si veda più sotto), Rifrazioni per 5 poeti-voce (1993) e Rifrazioni, due anni dopo (1995), Versione di Projection 2 per tromba, flauto, violino violoncello e pianoforte (2006) e, se riesco a salvare la registrazione su VHS, Song of songless e un breve Haiku per voce e pianoforte (1980). Nemmeno delle riproduzioni di queste composizioni escludo la possibilità di migliorare l’udibilità tecnica. 

Esistono forse altre mie presenze sul web dal carattere per lo più temporaneo che non rientrano in questa mia valutazione positiva.

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Né la simbolicità risolta di una partitura ben scritta, né il suo farsi altro in un’esecuzione pur che sia (insieme al pubblico o in studio di registrazione) sono sufficienti, nel mio accostarmi alla composizione, per convincermi che quella singola opera abbia trovato una sua compiutezza.

Ho bisogno tanto di una scrittura come passaggio all’opera (nell’alveo più o meno allargato della pratica occidentale), quanto di un’interpretazione riuscita e documentata, per sentire che realmente la creazione si è fatta evento formato, si è liberata dalla soggezione – astratta e pubblicitaria – del audience (riportandolo a un’idea di pubblico tra le mille possibili), e ha dato alla composizione tempo e modo di cercare un suo pubblico intimamente nomade (in ragione della sua stessa autonomia), una sua liberazione (in ragione della sua necessità), un suo corpo in virtù della sua trasmigrazione, della sua emancipazione, di un suo rispondere alla domanda circa il suo stesso essere, e così di agire facendosi il più possibile e in pari tempo simbolo e allegoria. 

Solo a questo punto mi sento libero dal dire ‘io’, posso quindi dimettermi dall’essere ‘autore’, posso scoprire che l’operazione, quand’anche piccola, si fa opera compiuta e in questo modo si stacca da me e spero possa rivelare quella lucidità, quel caos, quell’intelligenza e profondità che altrimenti non mi è dato di esprimere 

Solo così sento che la composizione, e proprio in virtù della sua stessa riproducibilità tecnica, può ritrovare un suo hic et nunc di secondo grado. È grazie ad almeno una valida registrazione (che affermandolo di fatto smentisca tale hic et nunc) che la composizione di una musica assoluta (esiste un’accezione positiva di questa sigla) può trovare se stessa reinnestata nella sua più propria e concreta effettività documentale e ulteriormente accessibile.

Questa esigenza – che non estendo al di là del confronto che ho con il mio lavoro – animerà e condizionerà inevitabilmente la costruzione stessa di questo laboratorio e i suoi tempi.  

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E tale percorso non è di per sé privo di una sua originaria scorticatura. Per quel che mi concerne, la compossibilità – sempre inseguita nella composizione musicale – di essere al pari forma ed evento resta la cifra di un salubre mancamento che agisce nella faglia tra percezione e scrittura, e di un ‘fallimento’ dell’io essenziale alla specificità della scrittura musicale, anche nelle sue estensioni estreme dell’acusmatica e dell’improvvisazione in rapporto all’incisione (intesa anch’essa come una modalità specifica di scrittura).

Sia su un suo versante idealista (type), sia su quello nominalista (token), la soggettività musicale è in tali compossibilità che si forma e si esprime (forse meglio se consapevolmente, intenzionalmente), intima a quel nastro di Moebius che appunto esprime la forma e forma l’espressione, lungo le due ipotetiche facce di un io-pelle, sotto il quale interviene la scrittura musicale come forma/tatuaggio del discreto sul continuo, come evento/contatto del continuo sul discreto, in un modo paragonabile al ‘fallire’ di una larva che esprima e formi la farfalla di una musica liberata e ne faccia l’anima della sua stessa simbolica lontananza.

L’interprete agisce orientato da uno scritto spesso (ma non sempre) di maggiore genericità e le due azioni, quella del compositore e quella dell’interprete, si inseguono all’infinito, dando forma all’evento ed evenienza temporale alla forma. Il soggetto della composizione musicale – che l’autore della composizione o l’interprete lo comprendano o meno – parla, in questo senso, con la voce, la pelle e l’animo di Marsia. 

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Dividerò la mia produzione in sei stadi. Nessuno di questi è arrivato a esaurire la propria maturazione. Né potrà arrivarci facilmente, in parte perché ogni conclusione si apre naturalmente a un nuovo progetto, o quasi, in parte perché l’immagine di Marsia, appena evocata, in questi ambiti implica un’interrogarsi ulteriore che quasi solo nelle composizioni mature giunge ad un proprio più profondo orientamento, altrimenti imprevedibile. Solo nel loro concepimento tali stadi risultano distribuiti nel tempo, interagendo reciprocamente – tra anticipazioni e retroazioni, tra ideazioni e realizzazioni – e focalizzando così una poetica che viene trovando, ma solo per alcuni aspetti, una sua maturità nel sesto stadio:

 

I. Composizioni giovanili  

II. La Botteghina della Musica, una prospettiva artigiana  

III. L’ispirazione artistica 

IV. Oltre la soglia della parola

V. SuonoSonda: la rivista

VI. Suono, tempo, liberazione. 

 

§

 

 

 

 

I.

COMPOSIZIONI GIOVANILI

 

Questo primo capitolo si aggira in una sorta di preistoria. Considera cioè un gruppetto di brani musicali appuntati in adolescenza e conservati con l’ingenua fiducia di poterli rielaborare in futuro.

Nulla di eccezionale risiede in questi lavori, se non l’emergere di alcune linee di tendenza: l’attenzione contesa tra immagini e parole, l’humus fortunato in cui sono nate e una qualche aderenza ad un’idea – ancora non sufficientemente concreta – di suono puro e di musica liberata.

 

1. – PER TRE VOCI E TRE STRUMENTI (1976-77)

1.1) N()U()L()L()A (1976) 

1.2) Khrushchev is coming on the right day (1977) 

Questo dittico di brani finitimi, affidati allo stesso organico da camera, risale agli anni in cui venivo introdotto alla musica presente da RAFFAELE CECCONI – sotto la direzione del GINO CONTILLI -, presso il Conservatorio di Musica di Genova, istituto di cui il Maestro Contilli era in quegli anni fondatore e primo direttore. 

1.1 – N()U()L()L()A per voce femminile, due voci maschili, violino, flauto e violoncello, il primo brano, è stato anche registrato in un’aula nei fondi del Conservatorio (allora affidata alla classe di percussioni). Avevo quattordici anni. Si tratta di un brano che (soprattutto se ascoltato come qui nella versione di allora) risulta estremamente fragile. Si ispirava a un quadro di Emilio Scanavino della collezione dei miei genitori, al suo effetto di spazio-colore, e lo pensai legato a una mia breve scena teatrale intitolata Dunque… (riportata infondo alla partitura) per cui vinsi anche un premio letterario cittadino, chiamato ‘Costellazione’, e dedicata allo scultore George Segal un altro artista le cui opere si ammiravano nei padiglioni de La biennale di Venezia. Il titolo N()U()L()L()A, trae ispirazione dalla traduzione in italiano de La question S. di Alain Jouffroy, ampio scritto dedicato all’arte di Emilio Scanavino, trovato tradotto come inserto del 5° numero della rivista Ana etcetera del 1963, curata da Ugo Carregada Anna Oberto e Martino Oberto e presente nella biblioteca di mio padre. 

Da qualche anno, recuperare miei frammenti giovanili e renderli accessibili è stato un modo per rinforzare competenze con alcuni programmi di scrittura informatica. Salvare poi registrazioni vecchie, come quella di N()U()L()L()Ami ha permesso di accostare direttamente tecniche per restaurare e rendere almeno fruibile il contenuto di nastri magnetici di più di 45 anni fa, in non buone condizioni. Tornare a rielaborare questa composizione mi potrebbe essere possibile forse solo qualora riuscissi a dar forma a brevi frammenti acusmatici dal carattere graffiante, che sapessero mimare le ‘grafie’ di quel quadro, da inserire a tratti, mentre il sestetto procede con più ricche sfumature. 

1.2 Khrushchev is coming on the right day per voce femminile, due voci maschili, violino, flauto e violoncelloè una composizione abbozzata, anch’essa per molti versi insufficiente, ma che può essere rielaborata in modo da essere resa fruibile. Di questo lavoro salverei, intanto, l’incontro con una delle più belle poesie di Frank O’Hara (che trovai in un numero della rivista ‘Art International’ del 1960, presente nella biblioteca di mio padre, e di cui azzardo qui, al punto 1.2, una mia traduzione) e un tipo di forma musicale fatta di suoni e di silenzi, che mi son trovato a ricreare anche in altri brani successivi, e che ben si concilierebbe con la visione di foto e filmati di repertorio risalenti al 15 settembre del 1959, giorno in cui Khrushchev passò per New York, diretto a Washington, e in cui è ambientata la poesia di Frank O’Hara. Si potrebbero associare, tali immagini, anche a foto newyorkesi più recenti. Tale visualizzazione sarebbe naturalmente il portato di un’idea più recente, rispecchiante però piuttosto bene l’intenzione originaria. Una maturazione, questa piccola partitura, potrebbe averla, anche forse se venisse tramutata in un brano anche più ampio – e forse finalmente degno della poesia – per voci soliste, coro e orchestra. 

 

2. – PER VOCE E STRUMENTI (1977)

2.1) Avec quoi  (Noël) 

2.2) When I went out (Ferlingetti)  

2.3) Thumbling – Hair (cummings)

2.1 – Avec quoi è già una prima rielaborazione di un brano per voce e strumenti, su un testo differente (non interessante), riadattato qualche anno fa, nel mentre lo trascrivevo, ad una poesia di Bernard Noël tratta dal volume di poesie L’ombra del doppio (L’ombre du double) del 1993, libro tradotto in modo magistrale da LUCETTA FRISA nel 2007. Ho conservato il testo in francese, ma sarebbe altrettanto e forse più adeguato, se fosse eseguito (e magari riscritto in molti punti), con il testo in italiano (modifica che potrei quanto prima realizzare).

2.2 – When I went out è un brano per voce recitante, flauto, clarinetto in si b, violoncello e pianoforte, scritto già in origine per un testo di Lawrence Ferlinghetti, tratto dalla celebre raccolta A Coney Island of the Mind del 1958. Non penso di rivederlo. Mi piacerebbe invece eseguirlo e registrarlo, e solo da lì muovere, eventualmente, per utilizzi ulteriori.     

2.3 – Thumbling-hair è un brano, diviso in tre sezioni, per soprano, flauto, violino, violoncello, celesta, percussioni e glockenspiel su una poesia di e. e. cummings tratta dalla raccolta Tulips and Chimneys (1923). Questo, di tutti, è forse l’unico brano un poco più maturo, pur nella sua estrema semplicità.

 

3. – DICEMBRE (1978) per pianoforte solo 

È un semplice brano appuntato dopo un’esecuzione di Last Piece di Morton Feldman da parte del amico Alessio Ageno. Difficile aggiungere altri commenti.

 

4. – ORE 6 – LEZIONE CON RAFFAELE (1978) balletto per voci e strumenti 

È un gioco scenico (ispirato un poco a coreografie allora innovative, come quelle di Carolyn Carlson) che integra strumenti sul palco e relativi danzatori in scena, mentre altri strumenti son posti fuori scena. Questo brano non penso potrà essere seriamente riconsiderabile. Tra l’altro, non credo che Cecconi sia a conoscenza dell’esistenza se non di alcune tra queste piccole ‘composizioni’. La trascrizione che qui presento deve ancora riportare alcune delle sue note illustrative iniziali. Sono affezionato all’immaturità della partitura colorata di allora: per alcuni anni fui incoraggiato a giocare in modo creativo con la musica e del ricordo di quella manciata di anni non ho nessuna ragione di liberarmi. In questo caso potrebbe bastare come documento la realizzazione di un video, anche con suoni sintetici, e la visione della piccola partitura originale coordinata con la trascrizione più recente.  

*

Sotto la supervisione di Gino Contilli, un giovane Raffaele Cecconi, dal 1974 al 1978, diede vita a una sorta di analogo musicale ante litteram del film Dead Poets Society (‘L’attimo fuggente’) di Peter Weir, di cui molti furono gli studenti che, in vario modo, ne godettero. Alcuni amici, tornando a quella vicenda, ne misero in luce alcuni limiti, tra questi non ci poteva essere certo la mancanza di generosità. Per quanto mi riguarda ho deciso di conservare quel che mi pare il meglio di quell’azione pedagogica, che risiedeva nel essersi nutrita di un’idea di musica tanto intima e critica quanto creativa e propulsiva. Nel brogliaccio di appunti sopraindicato continuerò a raccogliere e riordinare anche alcuni esercizi ‘letterari’ legati a quella vicenda, mentre raccoglierò qui uno spazio chiamato il Gruppo di Raffaele con l’elenco delle attività svolte e di tutte le giovani e giovanissime persone coinvolte.  

Cecconi trascrisse per i suoi numerosi studenti un numero cospicuo di song di Giorgio Federico Ghedini, di Benjamin Britten, dei Beatles, di Luciano Berio (Folk Songs), dedicò concerti a Charles E. Ives, Henry Purcell, Gerolamo Frescobaldi, allestì esecuzioni per giovani studenti con musiche di Earl Brown, Karlheinz Stockhausen, Morton Feldman, Bruno Maderna, John Cage, Toshi Ichiyanagi, mise in scena riduzioni dall’Opera da tre soldi di Kurt Weill e Bertold Brecht o rielaborazioni da Pinocchio, un libro parallelo di Giorgio Manganelli (Pinocchio: storie di pifferi e illusioni), costruì lezioni sulla musica del Novecento e trasmissioni radiofoniche, incoraggiando chi lo volesse a dedicarsi anche a piccole composizioni, attraverso la considerazione delle quali cominciare a introdurci alle basi del contrappunto e dell’armonia. Fa impressione, a distanza di anni, ricordare una versione di Modules per orchestra e tre direttori (invece dei due previsti) di Earle Brown sotto la direzione di Raffaele Cecconi, Federico Ermirio e Giacomo Cavo.

Il Maestro Contilli, sempre presente alle intense attività del suo Conservatorio, non poneva preclusioni, raccomandando solo di affrontare ogni cosa con il sufficiente senso critico. Il fuoco del più che autentico insegnamento era comunque stato acceso. Apertura mentale e senso critico erano stati attivati piuttosto potentemente. Tra gli studenti che hanno goduto di quel mondo – e che lo vivevano animatamente anche attraverso un poderoso scambio di dischi, partiture e traduzioni di partiture – potrei ricordare i giovani Alessio Ageno, Sergio Ciomei e Giorgio Ciomei, Riccardo Damasio e Alberto Damasio, Graziano Denini, Mara Luzzatto, Anna Ghisoni, Marco Betuzzi, Paola Mangili, Franco Mori, Igor Biagini, Marco Cecchinelli, Federico Odling e Francesca Odling, Alberto Pisani, Sofia Pacini e Vera Pacini, Roberto Mingarini, Sirio Restani, Giovanna Savino, Roberto Massetti, Martha Semino, Eleonora Marletta, Maddalena Vitali e Marco Vitali, ma anche, di lì a poco, Paola Tumeo, Massimo Coco e il già notevole Marco Guidarini (intendo ricostruire un più ampio elenco, il più possibile completo, dei nomi e cercando di aggiornarmi il più possibile sulle loro diverse attività).

L’11 aprile del 1988 a Genova l’Associazione Compositori Liguri, diretta da Adelchi Amisano, volle ricordare, con un’iniziativa concertistica preceduta da una conferenza, la presenza e l’opera di Gino Contilli. E quasi vent’anni dopo, nel 2007, Raffaele Cecconi compose anche un brano per orchestra in omaggio e in memoria di Gino Contilli, ispirato a un breve appunto del Maestro ancora conservato presso il Conservatorio ‘Niccolò Paganini’ di Genova. Il brano (qui in video con suoni sintetici e partitura, ma che spero di poter sentire eseguito un giorno) è intitolato Variazioni Contilli.

SuonoSonda nel 2019 e nel 2022 ha organizzato due edizioni di un concorso dedicato a Contilli (non dimenticando il glorioso Concorso Contilli di Messina, organizzato negli Anni Ottanta), testimoniato mirabilmente dal lavoro della professoressa DANIELA UCCELLO e delle sue allieve in Novecento in Musica presso il Museo del  Novecento di Milano: Gino Contilli e i protagonisti della rinascita di ieri e di oggi

Il 24 novembre 2019, presso il circolo genovese Les Salonnieres delle pittrice CARLOTTA CECCONI (figlia di Raffaele Cecconi, in intesa col padre) il pianistFRANCO TRABUCCO ha eseguito di GINO CONTILLI Otto studietti dodecafonici, in presenza del suo discente più illustre, il Maestro GIACOMO MANZONI, facendo, in questo modo, due omaggi in uno. Riporto un video di quell’esecuzione, sperando di fare un omaggio ulteriore sia al pianista e interprete, sia allo spazio privato dei Cecconi, sia al Maestro Manzoni, sia all’ispiratore di tutta quella vicenda, nel suo complesso,  cioè, appunto, il Maestro Contilli.  

    

§

 

 

 

*

 

II.

 

LA BOTTEGHINA DELLA MUSICA, UNA PROSPETTIVA ARTIGIANA

 

Negli Anni Sessanta mio padre ANDREA DENINI, laureato in Legge e nutrito di una solida cultura musicale, valido pianista e con un suo talento critico per l’arte visuale, ebbe modo di coltivare, in complicità con mia madre, CARLA BALLESTRERO, una non grande ma vitalissima collezione d’arte contemporanea, variamente debitrice della Galleria Rotta di Genova, della mirabile attività di Fiamma Vigo presso le Galleria Numero di Firenze, Roma, Venezia e Milano e della Galleria del Leone di Giovanni Camuffo e Attilio Codognato di Venezia. Tra i quadri della collezione posso ricordare il passaggio di opere di Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Enrico Baj, Gianni Dova, Roberto Crippa, Modest Cuixart, Rafael Canogar, Lucio Muñoz, Ennio Morlotti, Claude Gilli, Giuseppe Allosia, Gastone Biggi, Renato Frascà, Javašev Christo, Emilio Scanavino, Stuart Church, Giovanni Garozzo, Claudio Costa, Ezio Bruno Carraceni, Hsiao Chin, Giancarlo Bargoni, Guido Basso, Mario Schifano, Wilhelm Schmid, Plinio Mesciulam, Mimmo Rotella, Achille Perilli, Giorgio Levi, James M. Collins.

Nel 1974 però decise di dedicarsi all’altra sua passione, la musica, ed aprire, nelle immediate vicinanze del Conservatorio ‘Niccolò Paganini’ di Genova, un negozio di libri, spartiti e strumenti musicali che chiamò Botteghina della musica. L’iniziativa fu salutata con graditissimo entusiasmo dal Maestro Contilli e fu, tra l’altro, legittimata da una legge comunale di allora che già promuoveva l’apertura di librerie dedicate al servizio delle scuole cittadine. Non posso dimenticare il giorno felice in cui mio padre tornò dall’aver presentato al Maestro Contilli le sue intenzioni: partito con in mano nulla più che una semplice brochure da accostare all’ingresso, fu ricevuto dal Maestro con un’accoglienza che non avrebbe potuto essere più incoraggiante.

In quei frangenti, ricordo anche in particolare un momento – che è per me sintesi di un po’ tutto quel mondo di allora – in cui, incontratolo, mio padre ed io (avevo undici timidissimi anni), e il Maestro chinatosi, mi rivolse la parola, e mi disse, parlando del Conservatorio: “Qui non si viene per diventare dei geni, ma, se è possibile, dei bravi artigiani”. 

La Botteghina della Musica, che avrà modo di durare sino al 2011, fu tra l’altro di enorme importanza per la formazione musicale di mio fratello e mia (mio fratello, di me più giovane di un anno, che si diplomerà come violoncellista presso il Conservatorio nel 1985). 

Se la nostra infanzia era stata illuminata da ripetute visite a Venezia per vedere La Biennale d’arte contemporanea, da appassionanti frequentazioni di artisti e gallerie di vario tipo e da stimoli simili, la nostra adolescenza fu messa a contatto con moltissimo materiale editoriale, grazie al quale maturò, tra l’altro, una consistente confidenza con le case editrici musicali del pianeta.

In particolare mio fratello, GRAZIANO DENINI, che avrà un ruolo decisivo nella conduzione del negozio, sviluppò un talento particolare per lo studio approfondito dell’armonia e del contrappunto, per l’analisi musicologia e filologica dei classici viennesi e dell’opera di Richard Wagner, per la musica da camera tedesca e francese e per il Lied tedesco; studio, quest’ultimo, che lo portò a comporre ottimi Lieder su testi degli stessi letterati che si imparava ad apprezzare come i poeti del repertorio liederistico. In anni più recenti avrà modo di mettere a frutto queste sue competenze in un’attività filologica focalizzata in particolare sui molti frammenti inediti o incompleti di Ludwig van Beethoven (Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it). 

L’eccesso di stimoli e una mia natura basculante, che non poteva scindere interessi letterari, artistici e musicali (il mio stesso primo maestro di violino MARIO RUMINELLI non ci nascondeva i suoi interessi filosofici) non impedirono di frequentare per due anni i corsi estivi di violino tenuti presso la Hochschule für Musik del Mozarteum di Salisburgo dal Maestro RENATO DE BARBIERI, di godere dei preziosi corsi di Musica da Camera del pianista e compositore MASSIMILIANO DAMERINI presso il Conservatorio di Genova (in formazione di trio con Graziano Denini al violoncello e Alessio Ageno al pianoforte), di accedere, nei primi Anni Ottanta, ai corsi di Musica da Camera del Maestro GIUSEPPE GARBARINO e ai corsi di Composizione e Analisi Teatrale del Maestro SYLVANO BUSSOTTI, presso la Scuola di Musica di Fiesole, e – in sintonia col professor SILVIO BRESSO presso il Conservatorio di Alessandria, nel 1986 – di diplomarmi come violinista, portando il Violinkonzert di Alban Berg, accompagnato al piano dal amico MAURO CASTELLANO

Raccoglierò qui quanto prima una serie di brani, di natura per lo più formativa: lieder o song (composti sotto l’influenza delle passioni liederistiche di mio fratello), ma anche rielaborazioni artigianali per le più diverse occasioni, il carattere delle quali non va al di là di una presa di contatto con un genere o con uno stile, nel mio caso senza particolari pretese artistiche, ma che, per un motivo o per l’altro, continuo a trovare significative o, chissà, anche riutilizzabili.

 

5. – CANTI PER VOCE E PIANOFORTE (1979 – 2018)

5.1 – Windiger Tag im Juni  su poesia di Hermann Hesse (1979). Finito di svolgere un esercizio di Paul Hindemith dal suo Manuale di armonia, consigliatoci dal professor MAURO BALMA nell’ambito delle sue lezioni di armonia, mi resi conto che la trascrizione per voce e piano era piuttosto a portata di mano e la poesia di Hesse calzava quasi da sé. 

5.2 – Song of songless  su poesia di George Meredith (1980). Questo è l’unico brano tra questi ad aver avuto un’esecuzione pubblica filmata, attualmente riposta in un VHS che spero di poter ancora recuperare in digitale.

5.3 – My Life before Dawn  su poesia di Louise Glück (1996). Questo song è stato da me trascritto. per voce e orchestra jazz nell’ambito delle attività della Factory Orchestra di CLAUDIO LUGO (vedi sotto).

5.4 – Semplice  su mio testo legato a un racconto di James Joyce (2018). Questo è l’unico testo interno alla raccolta Suono, da me musicato, ed è liberamente ispirato alla novella di James Joyce Grace contenuta in Dubliners.

5.5Du sucht Zuflucht  su poesia di Paul Celan (1990)

5.6The foggy dew  su poesia di Katherine Tynen (1987). Questa melodia divenne anche un semplice brano per violino solo che dedicai, anni dopo, a due amici carissimi e che suonai per il loro matrimonio, avvenuto nella piccola chiesa di San Rocco di Camogli.

5.7Gong su poesia di Reiner Maria Rilke (1988) Da un appunto scartato da mio fratello io ho creduto, col suo permesso e non poche rielaborazioni, di poter tirar fuori qualcosa per questa impressionante poesia di Rilke. 

5.8Pulstralen su poesia di Paul Celan (2000)

5.9 – Winterrose su poesia di anonimo tedesco del 18° Secolo

5.10 – Music – When soft voices die su poesia di P. B. Shelley

5.11 – Verworfene Liebe su poesia di Johan Christian Günter

5.12 – Haiku su poesia di Adrian Henri

[la ricerca tra gli appunti di allora non è ancora finita]

 

Alcuni di questi canti sono stati da me trascritti, negli anni Novanta per quintetto di fiati:

 

6. – QUINTETTO DI FIATI (1995 – 1998)

 

Mi sono anche cimentato, nel corso degli anni, in arrangiamenti diversi e in rielaborazioni che talvolta mi è capitato di conservare e che, in alcuni casi, ho già trascritto o intendo trascrivere. Questo mi sembra lo spazio giusto per presentarne alcuni.

Un altro incontro importante è stato quello con il sassofonista, direttore d’orchestra e compositore CLAUDIO LUGO, che, più che un incontro, è stato ed è (come quello con mio fratello o con Cecconi) un solidale accompagnarsi nei decenni, attraverso esperienze formative a mio avviso rilevanti, nel più totale rispetto delle differenze; anche questa, con Claudio, è un’esperienza, fatta di vicende ulteriori e di ulteriori incontri, molti, e che, tra i suoi diversi nuclei, ha l’essersi incontrati nel 1982 – potrei dire con sorpresa (ci si conosceva, ma forse non ci si aspettava una tale convergenza) – alle lezioni di Sylvano Bussotti presso la Scuola di Musica di Fiesole.

Dal punto di vista artigianale (e non solo), Claudio è stato colui che mi ha dato, dopo mio padre, un qualche accesso, almeno parziale, alla ‘composizione’ jazz. Nel 1997 mi chiese di far parte, in qualità di violinista, a una big band da lui diretta, chiamata Factory Orchestra, composta da splendidi musicisti quasi tutti di area genovese.

In quella situazione mi incoraggiò a comporre un brano che, nel mio intento, avrebbe dovuto tornare su esperienze ospitate anche a Genova vent’anni prima, del tipo di quelle della Big Band di Carla Bley, ascoltata insieme a Claudio e a molti altri, presso i preziosi concerti estivi dei Giardini di Nervi che si tenevano regolarmente negli Anni Settanta: musicai quindi, per la Factory Orchestra, una toccante poesia di Louise Glück, poetessa ancora non molto nota allora in Italia, presente in una raccolta Einaudi di poeti americani curata da Gianni Menarini nel 1972. Il titolo della poesia è My Life before Dawn.

 

7. – MY LIFE BEFORE DAWN (1998)

 

Gli splendidi musicisti che hanno dato vita a questa versione del brano, registrata presso un locale di Genova chiamato Fitzcarraldo il 25 gennaio 1998, sono: Esmeralda Sciascia (cantante), Felice Reggio (tromba), Claudio Capurro (sax), [elenco da ricostruire]. È possibile che prima o poi mi dedichi a migliorare la resa audio di quest’unica presa diretta rimasta di un’esecuzione pubblica (non priva, a mio avviso, di momenti validi).

In anni successivi fui gentilmente avvisato da un noto regista e professore, esperto di poesia americana contemporanea e traduttore di Louise Glück, circa la comprensibile attenzione ai diritti d’autore che la poetessa avrebbe potuto esercitare su quel suo testo poetico. Che dire! Qualora avvenisse mai che l’attuale premio Nobel americano, Louise Glück, incorresse nella stranissima vicenda di ascoltare questa mia appartatissima esercitazione, spero la assuma per quello che è: non certo un’impresa commerciale, ma un devoto e umile omaggio alla sua ammiratissima poesia. 

Genova, oltre a Claudio Lugo, ha dato i natali a orchestratori Jazz notevolissimi, capaci di risolvere problemi complessi di concertazione orchestrale, amplificazione dal vivo e dialogo con un gruppo di improvvisazione, come Paolo Silvestri. In realtà, Paolo Silvestri è stato ed è tantissime cose dal punto di vista musicale, anch’egli presente ai corsi di Sylvano Bussotti degli Anni Ottanta a Fiesole e ottimo compositore di musica di ricerca. Per quanto riguarda la mia composizione, può tutt’al più accreditarmi, credo, una maggiore comprensione tecnica e musicologica al loro difficile lavoro (e già sarebbe molto). Certo, nella registrazione che Claudio ha ritrovato, il brano è presentato al pubblico come un’opera a tutti gli effetti risolta (e la sua valutazione non mi è indifferente, data la sua esperienza); probabilmente è qualcosa che sta al confine tra un brano e una prova di studio: mi è mancata la possibilità di una pratica nel tempo che permettesse di limare i dettagli e, in generale, la consuetudine consolidata del mestiere (che potrebbe tornare a maturare, qualora se ne presentasse l’occasione).     

Ancora da Claudio Lugo, più recentemente, nel 2017-2018, sono stato invitato a partecipare a una lettura collettiva, da lui organizzata, delle molte pagine del Treatise di Cornelius Cardew (1963-1968) reperibile presso il suo ottimo sito personale, su Vimeo, a cui hanno partecipato come TT-TUTORS: Claudio Lugo, Federico Palerma, Mario De Simoni, Davide Mantovani, come TT-CREW: Eugenia Mar Amisano, Gigi Magnozzi, Francesco Mascardi, Andrea Leone, Marco Traversone, Lorenzo Capello, Tommi Calomito, Laura Torterolo, Giulio Gianì, Pippo Costella, Davide Mantovani, Pietro Martinelli, Tina Omerzo, come Guests: Marco Tindiglia, Giacomo Merega, Marco Giongrandi, Drude Aviaja Becky Larsen, Ilaria Zonca, e come ExtraGuests: Andrea Ceccon, Francesco Cusa, Lorenzo Bergamino, Gianni Lenoci, Giacomo Merega, Federico Bagnasco, Marcello Fera. In particolare ho curato la pagina 129 del Treatise (si cerchi questa indicazione nel sito di Claudio Lugo).

Il progetto prevedeva una interpretazione da più punti di vista delle meta-codifiche grafiche della partitura, suddivise in un ciclo consistente di video, testimonianze di relativi incontri di improvvisazione. A mio avviso, l’ipocodifica (o, davvero, e meglio si potrebbe dire, la ‘meta-codifica’, in un senso complessivamente non riducibile a una mera regressione rispetto alla scrittura musicale occidentale), in questa vicenda, rendeva diverso e stimolante il dialogo tra punti di vista soggettivi e molteplici azioni musicali ampiamente collettive. 

Ho sempre cercato di rendermi disponibile a praticare la scrittura musicale. E questo è avvenuto, negli anni, parallelamente al ampliamento di conoscenze che la prossimità al negozio di famiglia giocoforza rendeva più agevole.  

Una delle più originali ricerche è partita negli Anni Novanta, allorché Fabio Rinaudo, esperto strumentista di cornamuse e hornpipes, ha coinvolto mio fratello e me in un gruppo di ricerca ed esecuzione di musiche scozzesi e irlandesi del XVII e XVIII secolo (non di rado incomplete e necessitanti spesso di rielaborazioni talvolta anche ampie). Il gruppo aveva un nome curioso Col’ win’ pipes Consort. Per la particolare vocazione musicologia, filologica e parimenti creativa di mio fratello fu un ulteriore occasione per esercitarsi. Ed io pure non persi l’occasione per provare a cimentarmi.

Resta in particolare un brano (tratto da un tune molto noto nella sua versione tradizionale), intitolato Carolan’s Quarrel with the Landlady per tin wistle (o flauto dritto), oboe, violino, violoncello, arpa celtica e spinetta, di cui è rimasta una registrazione, anche se solo abbozzata, con scopi unicamente dimostrativi e promozionali (dovrò chiedere ai musicisti se desiderano essere menzionati). Sto preparando un audiovideo con diversi brani di questo gruppo, del quale avrò modo di elencare i musicisti che nel tempo hanno preso parte a questa particolarissima attività.

Inserirò qui infine anche un Quaderno di esercizi per il contrappunto, che raccolga studi sparsi che mi sembrino conservare nel tempo un minimo interesse.

 

 

 

 

 

 

 

III.

 

L’ISPIRAZIONE ARTISTICA

 

Nel autunno del 1982, a vent’anni, mi sono accostato ai corsi di composizione e analisi teatrale di Sylvano Bussotti tenuti presso la Scuola di Musica di Fiesole. Già conoscevo alcune sue composizioni, quando, nel 1976, in occasione di un concerto a Venezia, fu mio padre che mi incoraggiò nel mio intento di chiedergli un autografo (che conservo ancora insieme ad altre sue cartoline e appunti di anni successivi). Nel 1980 avevo poi assistito a una sua conferenza, a Genova, nell’ambito di una originale e ricca stagione di musica contemporanea, intitolata Poesia in pubblico/Parole per Musica, organizzata da Massimo Bacigalupo e Carola de Mari (si veda Poesia in pubblico/Parole per musica. Atti degli incontri internazionali di poesia 1979/1980 ed. Liguria Libri 1981) e che quasi certamente ispirerà il titolo del libro – in quanto anch’egli partecipante all’evento – di Giacomo Manzoni Parole per musica. Interludi con musica L’Epos IBS, 2007.

Quando nel 1982 decisi di iscrivermi al Corso di Composizione di Bussotti mi sentii subito in difficoltà di fronte alla geniale poliedricità delle sue poetiche. Se il decennio precedente, per la sua vitalità, lo sentivo come una premessa naturale per affrontare quei corsi, ciò che mi si mostrava tutto d’un colpo era, di fatto, l’elevata compagine di competenze non solo musicali e l’acutissimo complesso di strategie creative, maturate in un ambito culturale smaliziatissimo, di cui si avvaleva davvero naturalmente Sylvano BussottiE, pur interessato moltissimo alla composizione musicale, mi venne più facile tentare di accostare la poetica di Bussotti attraverso una qualche forma di riflessione critica, che si concretizzò in un’intervista e in uno scritto intitolato L’oggetto e l’occasione. Pensieri attorno a Oggetto Amato di Sylvano Bussotti (1983), che vennero pubblicati nel secondo numero della rivista L’Erbaspada.     

Molti sono stati i talenti eccezionali incontrati tra i compagni di quel corso.Tra gli altri, incontrai lì il pianista Mauro Castellano, che Bussotti aveva assunto come guida alle lezioni. E si creò lì un affiatato dualismo tra allievi romani – ricordo Stefano Castelvecchi, Leonardo Gensini, Paolo Colangeli – e allievi genovesi – Claudio Lugo, Paolo Silvestri e, per qualche lezione, Federico Odling. E conobbi lì il compositore Henry Brown e la violoncellista Deborah Parker e, dopo qualche anno, il pianista e particolarissimo compositore (dalle meravigliose partiture) Hidehiko Hinohara o anche il futuro biografo di Bussotti, Luigi Esposito.                                                                                  

Era il 1983. Attualmente sarebbe per me impossibile accettare le immaturità di quello scritto, senza almeno una radicale riscrittura, anche se Cecconi recentemente mi raccontava che, a quei tempi, aveva incontrato Bussotti, il quale ebbe parole favorevoli nei miei confronti. Sembrava fossi riuscito a cogliere qualcosa del ‘metodo’ creativo che lo caratterizzava, se così si può dire, e il cui centro risultava essere un’istanza di libertà capace di sollecitare e ravvivare in modo critico le fondamenta pressoché d’ogni modello, di ogni canone e soprattutto di ogni pratica ereditata. Proprio su questo punto dovrò tornare a riscrivere con maggiore maturità quel mio scritto del 1983, sperando di focalizzare meglio il valore specifico del suo particolarissimo insegnamento fiesolano (almeno per quella porzione di anni che vanno dal 1981 al 1988). 

Anni dopo Bussotti mi sorprese, riportando la chiusa di L’oggetto e l’occasione nella partitura, del 1989 (e nelle note di copertina del CD inciso per la Ricordi) di Ninfeo (1992), ulteriormente commentandola:

Il pensiero che prorompe nell’arte” – io avevo scritto in L’oggetto e l’occasione“pur modificandola radicalmente, in realtà non la scalfisce; perciò esso qui cade taciturno e in ascolto davanti a quella in un sogno ragionante la cui razionalità o intelligenza che sia è appunto necessaria e perciò priva di quella libertà che l’arte davvero pone come suo oggetto primo”. E Bussotti aggiungeva: “Parole di Artista da Giovane – Francesco Denini – dove la dialettica sembra ripercorrere adorniani meandri capaci di riflettere ogni senso occulto nell’abbaglio brutale, che un improvviso lampo saprebbe, per un istante, disvelare chiarissimo.”

Stavo in realtà davvero solo cominciando a delineare una mia scrittura musicale. Ma l’incoraggiamento non era da poco ed era espresso sinceramente, e forse anche per questo il suo effetto agisce ancora adesso.

Per altro, l’esito più riuscito del mio impegno nel cercare di restituire, con parole, qualcosa della vasta poetica del Maestro Bussotti credo sia contenuto nel saggio che Bussotti stesso mi chiese di scrivere per il libretto di presentazione della sua opera lirica L’ispirazione e che intitolai Il tempo che ci guarda (1988).

Sto raccogliendo questi e altri scritti nel brogliaccio che ho indicato prima con il titolo Correzioni, revisioni, mediazioni.

Se da un lato avventurarmi nelle complesse trame della poetica musicale di Sylvano Bussotti era per me diventato un obbiettivo destinato a rimanere perenne, dal punto di vista della composizione mi resi conto di ciò che era ovvio, ovvero che non sarei mai riuscito, nemmeno lontanamente, a raggiungere (e forse nemmeno mi interessava) una tale pluralità di scritture e, anzi, la massa di appunti accumulati in alcuni casi avrebbe potuto trovare solo col tempo una qualche ridefinizione più concentrata e personale.

E, d’altro canto, mi sembrava che la critica alla scrittura contenuta nelle trame più complesse delle migliori partiture di Bussotti – penso tra le altre a Pour Clavier o a The Rara Requiem per me sarebbe stata accessibile solo se circoscritta nell’ambito di una diversa e più specifica forma compositiva.

Intanto, in particolare a partire dall’opera L’ispirazione  la cui trama è tratta da un racconto del filosofo Ernst Bloch, paradigmatico della sua concezione del tempo, e rimanda all’opera di Luigi Dallapiccola Volo di notte, ispirata al romanzo Vol de Nuit di Antoine de Saint-Exupery – iniziava per molti versi il mio pensare la Modernità non solo musicale, costantemente riferito al tempo, che porterà – attraverso strade anche meditatamente diverse – alla mia tesi di laurea La concezione del tempo nella musica contemporanea.   

Vari frammenti non finiti, risalenti a quel periodo, si andranno a radunare in quello che lentamente verrà definendosi come ‘progetto’ col nome di Beckett: la raccolta di questi appunti frammentari sta ancora aspettando, da allora, una reale e definitiva composizione. Il costituirsi stesso della pagina-laboratorio che qui sto scrivendo nasce da una difficoltà compositiva che risale a quei tempi e di cui mi sto liberando solo ora.

Nessun genio avrebbe potuto soccorrere realmente il mio lavoro, ma solo, e se fosse andata bene, un duro ed attento laboratorio artigianale (come questo).

 

8. – BECKETT (1984-97)

8.1 – Alba

8.2 – Musique de l’indifference

8.3 – Je suis ce cours

8.4 – [fals. E. Dick.]

8.5 – [suono 13]

[raccolta dei frammenti in fase di completamento].

 

Gli Anni Ottanta non furono per me anni facili. Dolori ed errori inconsciamente violenti si sono accompagnati ad un’aspra presa di realtà, pur essenziale per una mia anche minima maturazione.

E anche i brani che sto per elencare segnano un lento fuoriuscire da quello stato critico. La tentazione artistica comportava la dismissione d’ogni dimensione ‘egoica’ della creazione, da convertire in un dialogo il più possibile solidale con altri musicisti, maturato nella consapevolezza – ragionata, ma senza pentimenti – che il tipo di creatività in cui mi trovavo immerso era destinato a diventare, nella sua riservatezza, anche e per molti versi un atto critico ed emancipativo – inevitabilmente e non di rado mal digerito – della società stessa entro cui nasceva. Non manca chi nel mondo musicale pensa che queste esigenze critiche ricalchino, rispetto a riscontri più ampi di ascolto, la favola antica della volpe e dell’uva. Mi sento più vicino a chi pensa, come pensano taluni filosofi illustri, che la scrittura (e io penserei anche la scrittura musicale) sia in molti sensi un’emanazione del nostro corpo, qualcosa che naturalmente può evolvere, ma che può farlo nel rispetto di una storia che è personale e non può essere sempre disponibile a modularsi docilmente ad ogni occorrenza. 

I brani successivi sono per molti versi tentativi più artigianali e più semplici (spesso frutto dell’occasione) di rispondere alla tentazione artistica avvicinata con i frammenti del Beckett.    

 

9. – VARIANTI D’ECHO’S BONES (1986) per oboe e pianoforte

Dedicato al amico di adolescenza Riccardo Damasio, questo brano è a tutti gli effetti una prosecuzione esterna di Beckett, e ho sempre immaginato di trascriverlo per orchestra da camera e solista. Si tratta anche, oggi, riconsiderandolo a distanza di anni, un modo per ricordare un amico dalla vitalità e dall’intelligenza superiore – musicale e non – e che ho vissuto, anche poi, a distanza, e per decenni (e ancora oggi, ricordandolo), come spina morale nel fianco della mia vita, quasi completamente ‘estetica’ (e infondo di mie molteplici e perduranti immaturità). Nel settembre del 1976 Riccardo, eravamo ragazzi, aveva risposto agli stimoli di Cecconi con un brano per oboe, flauto dolce e percussioni intitolato 28 Maggio 1976 [Diario di una giornata]. Qui non ripropongo quel brano, ma lo riprendo molto liberamente.

 

10. – NOTTURNO IN DUE TEMPI (1988) per cinque flautisti

Il primo brano di questa composizione, Piccola Rapsodia, è stato scritto in pochi giorni a Chiusi, nel  1988, durante un corso estivo di composizione tenuto da ISANG YUN nell’ambito dei corsi della scuola estiva di Flauto organizzati da ROBERTO FABBRICIANI. Conservo ancora di quel corso, gelosamente, un gruppo di cassette con composizioni di Isang Yun che il Maestro duplicò apposta per me, come segno di incoraggiamento. Il secondo brano Notturno Interno, è stato scritto poco tempo dopo sulla scia del primo (ho da qualche tempo immaginato e appuntato una trascrizione di questo brano con l’uso del flauto contrabbasso).

 

11. – NOVILUNIO DI MEMBRA (1992) per voce femminile, clarinetto, violino e percussioni, su testo poetico di Paola Guazzo

Se ricordo bene fu il professor LEOPOLDO GAMBERINI, allora docente di Storia della Musica presso l’Università di Genova, che fece il mio nome alla pianista e compositrice australiana WENDY MORRISONvenuta a studiare in Europa (prima a Londra e poi a Genova), e che si era rivolta a lui per cercare compositori disposti a scrivere musiche da accostare ad esposizioni d’arte visuale. Alcune avventure nacquero collaborando con lei e il suo compagno di allora, l’artista GIANCARLO GELSOMINO. In particolare, nell’ambito di un gemellaggio tra l’Università di Genova e l’Università di Melbourne, intitolato Dall’altra parte del mondo / From the other side of the World mi fu chiesto di comporre un brano da accostare ad alcuni quadri e altre musiche di compositori italiani e australiani. Esiste una registrazione (che devo ancora rendere ascoltabile) in cui questo intero brano viene introdotto all’interno di un’altra composizione, non mia, e mescolato con suoni di altri strumenti (tra cui il digeridoo), frutto anch’essa di quello stesso gemellaggio. Tale gemellaggio prevedeva inoltre che io intervenissi, a mia volta, su una composizione, particolarmente intensa, per due pianoforti di Wendy, cosa che feci, ma di cui mi è rimasta solo la partitura, senza purtroppo alcuna registrazione dell’evento. Anche questo secondo episodio portava una parte vocale che cantava parole di PAOLA GUAZZO.

 

12. – FOTOGRAFIE (1989-1993) per clarinetto, viola e pianoforte

Si tratta di un brano musicale concepito appositamente per una proiezione fotografica temporalmente coordinata con il suono degli strumenti. La struttura temporale è rischiosa senza immagini: l’idea di fondo è, in sostanza, quella di coordinare tempi d’ascolto e tempi di visione di immagini statiche (resa mobili solo dai suoni), alternati da silenzi il cui tempo è fondamentale. Se non fosse di benché minima distrazione, un leggerissimo effetto elettronico di vento, molto lontano, e con una spazialità straniante rispetto a quella degli strumentiquasi davvero impercettibile, potrebbe gestire tempi e ‘silenzi’ di questo brano. L‘idea di questo brano è rimasta puramente teorica e senza una preciso riferimento visuale fin quando con mia moglie MARIAPIA BRANCA, quasi 25 anni dopo, non abbiamo cominciato a raccogliere in libri alcune sue fotografie e ho cominciato a convivere con le sua pratica fotografica quotidiana e le sue molte serie fotografiche. Non sarà difficile scegliere una o più raccolte di foto per diversi allestimenti del brano. In particolare attualmente una possibilità concreta è offerta già da le seguenti raccolte di foto in bianco e nero e di foto a colori. Non smetterei di pensarlo in termini fotografici anche qualora al posto delle delle foto venisse ad accostarsi al brano una sequenza di brevi video muti a soggetto unico e inquadratura fissa (o quasi). L’idea forse più originale di questo progetto sta proprio nell’intercambiabilità delle serie fotografiche associate ai suoni: il puro tempo di visione è di fatto il nucleo vero che sta alla base di questa ‘scommessa’.   

 

13. – L’INFINITO (1990-1994) per soprano, tromba in Bb, arpa, contrabbasso e percussioni, su testo poetico di Guido Caserza

Esiste una versione completa di questa composizione che, a distanza di anni, mi risulta decisamente troppo rigida, in un modo che contraddice l’idea stessa che sta alla base stessa della composizione. Già tentai una riscrittura più dinamica che non ho avuto mai l’occasione di finire. Non ricordo se ho mai informato l’amico GUIDO CASERZA dell’esistenza di questo lavoro.

 

14. – D’ALTRO CANTO (1995) per due clarinetti in Bb

Si tratta di un contrappunto a due voci piuttosto serrato, che sta ancora aspettando di comprovare con interpreti armati di sufficiente disponibilità (ed eventualmente rivedere) l’efficacia di tempi di metronomo allora da me ipotizzati in previsione di un’esecuzione prospettata e mai avvenuta. Questo brano diventerà, dopo qualche tempo, un modellino preparatorio per un’altra composizione intitolata QUINTETTO ‘ECLOGA’.

 

15. – AIÓN – KHRÓNOS – KAIRÓS (2021) sestetto vocale per soprano, mezzo-soprano, contralto, tenore, baritono e basso

Potrebbe dirsi una concrezione più recente di appunti sparsi per ensemble vocale, liberamente ispirata a uno scritto filosofico intitolato Catturare il divenire. Modi e rappresentazioni della temporalità: “aión”, “khrónos”, “kairós” di OSCAR MEO, più che paziente relatore della mia tesi di laurea in filosofia. Tale scritto approfondisce le diverse concezioni del tempo lungo la storia della filosofia a partire dalle loro matrici antiche.

 

16. CORRIDOI TEATRALI (1997) per violino e diversi sfondi con suoni di violino rielaborati elettronicamente

Di questa particolare ‘sperimentazione in studio’ mi restano alcune tavole di composizione che avevo allestito per organizzarmi il lavoro in modo da poter contare su sufficienti spazi di estemporaneità. Quelle tavole, evidentemente non del tutto infelici dal punto di vista visuale, accompagnarono un’esposizione di quadri che il pittore Federico Palerma tenne a Londra nel 1998. Federico riservò lo stretto titolo di questa mia raccolta a una sua tela di allora – un quadro notevole e di dimensioni piuttosto vaste (documentato in un libretto per sua mostra) – che, purtroppo, le mie possibilità economiche e il mio spazio di vita non mi permisero di acquistare. Spero che quel lavoro, e tutti i quadri di quell’epoca (e oltre naturalmente), abbia incontrato la migliore delle fortune.  

16.1Strappi per violino e suoni elettronici

16.2 Argo navis rielaborazione elettronica di frammenti suonati al violino

16.3 – Iniziale per violino e suoni elettronici

16.4 – Sidéreo per violino e suoni elettronici

16.5 – Tempi per Adriano per violino e suoni elettronici

16.6 – Lineare per violino e suoni elettronici

16.7 – Meneghelli per violino e suoni elettronici

16.8 – Per Francesca G. per violino e suoni elettronici

16.9 – Tavole Palerma per violino e suoni elettronici

16.10 – Aura X per violino e suoni elettronici

 

Questa raccolta di brani per e attorno al violino, finita nel 1997, conclude un mio primo periodo di ricerca espressiva. Anche se un brano come Aión – Khrónos – Kairós porta una data successiva, si tratta, di fatto, di una rielaborazione di appunti risalenti a quegli anni. Non posso escludere che mi capiti di ritrovare altri appunti e altre composizioni di quel periodo. Come per Beckett anche per gli altri brani di allora il riordino non è cosa facile. 

 

 

 

 

 

 

*

 

IV.

 

OLTRE LA SOGLIA DELLA PAROLA

 

In questa sezione presento una serie di lavori posti in equilibrio sul crinale tra parola e musica. Riposa, al fondo di questa sezione, la convinzione che tale connubio non sia per nulla naturale e privo di contrasti. In questo ambito, anzi, mi sento di dire che la dialettica tra parole e musica si spinga spesso ad essere molto aspra, a spese ora del testo letterario, ora della musica. Io stesso non sono sicuro che questa particolare attività sia in tutto attinente alla composizione musicale. Forse la sua ragione primaria è proprio l’indagine attorno alla sua stessa incerta identità. E comunque la comprensione reale del problema passa necessariamente attraverso lo studio della parola e lo studio del suono, nel luogo dell’allegoria, da un lato (orientata prevalentemente al concetto, alla finzione, alla rottura del e col mondo) e nel luogo del simbolo, dall’altro (orientato maggiormente all’idea condivisa e all’evocazione del mondo). 

Questo genere di ‘composizioni’ ha comportato l’approfondimento di una mia specifica ambivalenza musicale nei confronti della parola. Non un’ambivalenza verso la parola in quanto tale, che sarebbe cosa non poco ridicola e a dir poco regressiva, ma in riferimento al progressivo emanciparsi della composizione musicale da tutte le stampelle espressive, tra le quali certamente la parola ha avuto e ha tuttora un primato molto alto. Se alla musica concerne un qualche paradiso della parola, un mondo di illuminations, per i suoi rapporti con la densità del senso, legata intrinsecamente all’esplosione simbolica delle emozioni, qui la parole (speech o wordtrova piuttosto la sua saison en enfer, per una complessiva perdita di senso che si attua nel caos delle alterità contestuali (quando sono preponderanti), o per lo meno, trova, la parola, il suo purgatorio musicale, e quindi sue parziali dispersioni di senso, volte non verso il suono epurato, potremmo dire liberato, ma verso il brusio inarticolato delle lingue, lo stadio detritico del significante, il suo sperpero incenerito, il suo violento deliro colloso e gassoso.

La poliedrica messa in scena di questa esperienza della parola, la commistione tra evocazione e spazialità riverberante, la sua traducibilità e riproducibilità tecnica sono a tutti gli effetti il suo oscillare tra non-senso e miraggi di senso: si tratta di dimensioni transitorie, di un andirivieni attraverso varchi che personalmente ho sentito come non sostenibili a lungo, se non attraverso questi passaggi, e comunque non evitabili, ma nemmeno eleggibili a vita. Nella letteratura che ho accostato e ho provato a praticare ho creduto di intravederne le ragioni, tanto quanto in certa musica. La raccolta Suono intenderebbe propriamente evocare questo oltrepassamento della parola attraverso se stessa, se così si può dire, per incontrare finalmente il suono come puro tempo, spazio, transizione, percezione del discreto nel continuo, e del continuo nel discreto, libertà dal mondo e nel mondo. Anche se in continua realizzazione, questa fase rispecchia a grandi linee un periodo della mia vita, oltre il quale il mio desiderio è di ‘liberarmi’ della parola, di muovermi in direzione del suono puro (accogliendo in partenza ogni dialettica possibile tra puro e impuro).

  

17. – RIFRAZIONI per 5 poeti-voce (1993 – 1995)

Scritto per il gruppo di intervento poetico Altri Luoghi, composto da Marco Berisso, Piero Cademartori, Guido Caserza, Marcello Frixione, Paolo Gentiluomo, questo brano ha avuto anche un’appendice: RIFRAZIONI, DUE ANNI DOPO, rielaborazione in studio accolta nel n° 27 della rivista Baobab di poesia sonora di Adriano Spatola e Ivano Burani del 1995). Questo brano, concertato per una performance dal vivo, entrò in finale al concorso Traiettorie Sonore di Como del 1995 insieme, davvero curiosamente, a un brano di Federico Odling e i Virtuosi di San Martino e al notevole Sandro Penna: letture al saxofono di Claudio Lugo, che meritò di vincere. Fu particolarmente piacevole ritrovarsi insieme senza poterlo minimamente preventivare. A questo lavoro è anche immediatamente legato un breve mottetto per voci di canta-attori e sfondo elettronico, intitolato: EFFECTE DE RELLEU RECTANGULAR per sei voci miste su testo di MARCELLO  FRIXIONE. Il titolo è lo stesso di un noto quadro di Antoni Tapies.

 

18. – CANTO DI PRIMANORTE (1986 – 2017) 

Una scatola grigio chiara con su scritto Canto di Primanorte 1986 – 2017 raccoglie cinquanta fogli di carta piuttosto spessa, pronti per uno spazio espositivo di poesia visuale. Altri fogli di carta da macchina, leggerissimi risalenti al 1986, che costituiscono, per così dire, un qualche Ur-Promanorteanch’esso è riposto nella stessa apposita scatola. Questi fogli – antichi o più recenti – riportano frammenti di sequenze fonetiche e/o alfabetiche all’inseguimento di una fantasia sonora non ancora raggiunta e forse irraggiungibile. Questa è la particolare sorte di un ‘poema’ scritto in una lingua non (più?) chiaramente determinata e utilizzato come ‘motore del tempo’ ed orologio di connessioni, interno ad un’astronave alla deriva nello spazio cosmico. La ripetizione di tale ‘poema’, alla base dell’organizzazione tecnica dell’astronave, avrebbe subito nel corso del viaggio deformazioni di diversa natura, anzi le deformazioni sono parte dell’organizzazione tecnica, al punto che residui di significato senza più contesto renderebbero incomprensibile il contenuto, e forse anche il senso, del – tra virgolette – ‘poema’. A pensarci bene potrebbe trattarsi del destino inimmaginabilmente futuro del personaggio di Arno Lupo dell’opera L’ispirazione di Sylvano Bussotti, Signore del Tempo. Solo vaghe evocazioni si farebbero largo, e di rado, in modi inestricabilmente ambigui, al punto che è impossibile stabilire se si tratti di musica alfabetica o poesia sonora. Dal 1986 ho lasciato spazio a questa fantasia, senza che mi sia stato possibile farla uscire dal suo stato perennemente larvale. Spazio espositivo, raccolta di foto, traduzione sonora, versione multimediale potrebbero essere sviluppi ulteriori? I fogli nella loro scatola sono a tutti gli effetti un lavoro finito. La loro esposizione via occhi e via audio riposa (ancora) nell’immaginazione.

 

19. – FABBRICATORI DI SOGNI (1995)

È l’unica mia esperienza come compositore per teatro, offertami dal Teatro delle Nuvole di Genova, ovvero dagli amici FRANCA FIORAVANTI e MARCO ROMEI, attrice lei e attore e autore lui, dalle voci ricchissime di timbri, in collaborazione con l’amico ADRIANO RIMASSA, artista prossimo al mondo Fluxus, in questo caso scenografo, e grande amico. Unica esperienza ed esperienza unica, per aver con essa molto girato e praticato palchi e di cui purtroppo mancano, che io sappia, registrazioni audiovideo acusticamente accettabili (ed è auspicabile che si possa provvedere in futuro) e che mi ha permesso di provare il contatto con un teatro concreto, fisico, materiale, fatto di assi, teloni e oggetti vari, e al contempo sperimentale ed espressivo. Devo a questi amici anche, tra l’altro, alcuni incontri di grande coinvolgimento, come quello – se pur breve – con LEO DE BERARDINIS che ritrovo nella memoria legato in particolare a una cena, dopo lo spettacolo Scarramoucheinsieme ad alcuni membri della sua compagnia; ricordo apparentemente minimo, uno tra i tanti, ma in realtà preciso ed intenso, per vivacità e peculiarità, risultanza umana ed artistica di un certo modo di concepire il teatro.   

 

20. – MENZIONI

Istallazione di versi cantanti e accompagnati al pianoforte provengono da ambiti differenti dello spazio. Questo spazio è percorso da un bisbiglio: la lettura sulla soglia del percettibile dell’intero libro di poesie Menzioni di MARCO FURIA. Gli ultimi versi in chiusura ad ogni poesia di Marco sono cantati in forma di brevi jingle dalla cantante LUCE TONDI da me accompagnata al pianoforte. La registrazione dei jingle è completa. Manca ancora l’allestimento elettronico dello spazio di ascolto.

 

21. – ATTIS (2015)

Il Carme 93 di Catullo è verosimilmente il primo grande affresco allitterativo della letteratura occidentale e certo anche un unicum metrico, con aspetti molto interessanti anche dal punto di vista musicale e antropologico. Il primo a farmi conoscere le virtù uniche di questo carme è stato, ai tempi del ginnasio (in cui godevamo delle splendide lezioni di letteratura italiana, greco, latino, storia e geografia della professoressa LEPORATI ZONA) – e poi, ancora quando, ventenni, ci si esercitava sulle pagine della rivista letteraria L’Erbaspada (1982-1985), l’amico, professore e storico, LUCA PAOLO BERNARDINI, a cui questo esperimento è, in qualche modo, dedicatoPerseguirne musicalmente la metrica è stato per me una sfida avvincente. In seguito, per un esame universitario allestii una tesina di accostamento al testo che comprendeva, oltre ad un quadro storico, anche un’ipotesi di traduzione in metrica. La prosecuzione di quello studio, nel tempo, ha portato a immaginare una lettura del testo e della traduzione filtrata da suoni elettronici. 

 

22. – APPUNTI PER UN AUDIOLIBRO (2018)

Musicare la lettura di un libro è un’esperienza affasciante, soprattutto un libro di prosa, e in particolare un libro di prose brevi, come Il demone accanto di MARCO ERCOLANI. Associare i miei primi elaborati di suoni elettronici (ottenuti con Max8) con una lettura che possa essere ascoltabile ad esempio all’interno di un programma radiofonico o come un audiolibro pone problemi di continuità e varietà non diversi da quelli posti da una composizione a tutti gli effetti musicale.  Per questi tentativi, ancora abbozzati, ho, negli ultimi anni, tormentato un fin troppo gentile e paziente ROBERTO DOATI  e alcuni suoi allievi, MATTEO TRAVERSO e MARTINO MARINI. Le lettura di alcuni episodi di questo libro sono stati composti con il solo accompagnamento di suoni di sintesi. Altri ne potrò fare, e potrò migliorare quelli fatti, quanto più riuscirò a maturare tecnicamente in questo ambito. 

 

23. – SUONO (1992-2022) – testi

Si tratta di una vera e propria raccolta poetica. Questi testi non prevedono alcuna traduzione musicale in quanto concepiti con la pretesa, alla fine naturalmente e consapevolmente inadeguata, di comporre musica direttamente con parole (uno solo è musicato). A distanza di tanti anni sento di dover mostrare riconoscenza ai poeti della rivista Anterem Silvano Martini, Ranieri Teti e Marco Furia per avermi variamente incoraggiato nell’impresa e in particolare a Flavio Ermini, il direttore della rivista, a cui – vittima di un mio momento di incomprensione – sento almeno qui, a distanza di anni, di dover delle scuse. A maggior ragione perché un’ampia compagine di questi testi, nel 2003, furono accolti nel ristretto numero dei finalisti nell’ambito, molto partecipato, del Concorso Montano indetto dalla stessa rivista letteraria nella sezione dei testi inediti.

Questa raccolta poetica, o comunque questa raccolta di testi, chiude il perimetro del mio lavoro ‘artistico’ con la parola, all’interno del quale agisce comunque una sorta di infinito. In qualche modo, si potrebbe dire che ho chiesto un passaggio alla letteratura, più che altro per provare a comprendere meglio una concezione allitterante della composizione musicale che non copre completamente, ma comunque in parte riguarda, le mie indagini creative.  

 

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V.

 

SUONOSONDA: LA RIVISTA

 

Dal 2003 al 2009 SuonoSonda ha pubblicato una rivista ‘semestrale’ i cui numeri contenevano 180/200 pagine di illustrazioni e di commenti a musiche di volta in volta ospitate in un CD allegato ad ogni singolo volume, e non di rado accompagnate da una copia di una partitura in dimensione pocket di un brano tra quelli contenuti nel CD.

Di fatto quella avrebbe dovuto restare l’idea base dell’attività. E tale idea è stata – bene o male – unicamente mia, rispecchiando in molti sensi il mio modo multidisciplinare di disciplinarmi alla musica o – sarei disposto ad ammetterlo – un mio modo di disciplinare la mia zigzagante indisciplina nell’accostare una pratica dello spirito tra le più rigorose e complesse.

L’esperienza di mio padre presso curatori di mostre e gallerie mi aveva messo su una strada (che ritenevo quanto mai utile per la musica), secondo cui, al netto di preferenze e vicinanze, fosse di gran lunga più urgente non cercare frammenti di un ego ipertrofico da proiettare sull’opera altrui, ma evidenziare costellazioni di lavori che, per quanto è possibile, esaltassero la singola espressione, lasciando al contempo intravedere pluralità di mondo ulteriori, e ponendo così la creatività futura al di sopra di ogni altro proposito. E se questa mi sembrava una prospettiva più consueta al mondo dell’arte visuale, l’esperienza famigliare della Botteghina della musica e qualche esperienza letteraria giovanile avrebbe aiutato nella sua trasduzione per la musica. Questo, almeno negli intenti. Nessuno pretendeva certo di presentarsi quale arbiter elegantiarum di una qualunque musica dell’avvenire. Già molto sarebbe stato ritagliarci un ruolo – non senza il maggior numero di collaboratori possibile – di sondaggisti quantomeno volenterosi.

Rivolgersi a Carla Magnanchiedendole di assumersi il ruolo di co-direttore, è stata meno che una facile profezia, conoscendola personalmente da più anni e conoscendo il suo formarsi metodico e costante. E presto si rivelò un modo di aprirsi ulteriormente all’incontro concreto con musicalità ricche e differenti, che il suo valore e le sue capacità di relazione rendevano accessibili.

Non pochi brani sono stati registrati adeguatamente con i nostri mezzi, grazie all’attenta collaborazione di Paolo Valenti. In soli otto numeri le collaborazioni sono state davvero molte e molto formative. Molti, spesso diversi e molto appassionati sono stati i collaboratori, mossi tutti da una sana irrequietezza di fondo. Abbiamo intervistato e dialogato con musicisti, artisti e filosofi e abbiamo avuto l’onore di ospitare validi compositori inevitabilmente a braccetto con splendidi interpreti. 

Il proposito di tutta l’operazione era allo stesso tempo creativo e critico. Non si trattava di scalare spazi altrui e occupare ambiti già occupati da musicisti sicuramente più degni, ma creare un nuovo spazio relativamente autonomo – ovvero che non si avvalesse di sostegni pubblici o fosse soggetto a sostegni privati unilaterali, ma si sostenesse ad esempio con abbonamenti – e che generasse occasioni, piccole o grandi (naturalmente nei limiti delle nostre possibilità) per conoscere, interpretare, registrare nuova musica in più direzioni. La creatività del musicista in generale, e ancor più oggi nelle sue manifestazioni migliori, è quella – mi sentirei di dire (in particolare oggi grazie alle più recenti tecnologie) – di generare spazi dinamici di intersoggettività propulsiva. 

I compositori di cui abbiamo ospitato brani musicali sono:

Alberto Colla, Goffredo Petrassi, Andrea Ceccon, Roberto Perata, Francesco Pennisi, Alessandra Bellino, Hidehiko Hinohara, Pierre Boulez, Riccardo Dapelo, Simona Barbera, Sylvano Bussotti, Paolo Cavallone, Andrea Valle, Luciano Berio, Leonardo Gensini, Mauro Cardi, Isang Yun, Riccardo Piacentini, Raffaele Cecconi, Nicola Bagnoli, Sonia Bo, Morton Feldman, gli Anatrafobia, Luigi Esposito, Carla Rebora, Paolo Bisagno, Wendy Morrison, Roberto Tagliamacco, Carlo Benzi, Gregory Kurtag, Massimiliano Damerini, Roberto Doati, Sonia Bo, Alessandro Pacho Rossi, Roberta Vacca, Stefano Pastor, Giuseppe Colardo, Luis De Pablo, Massimo Lauricella, Roberta Gentile, Robert Rowe, Mario Faveto, Francesco Chiari, Claudio Lugo, Valerio Sannicandro, Bruno Maderna, Silvia Colasanti, Paolo Cavallone, i Juan Mordecai, Karlheinz Stockhausen, Christof Gallio, Fabian Pannisello, Debora Petrina, John Cage, Gianluca Verlingeri, George Haslam, Jean-Luc Hervé, Jésus Torres, Federico Incardona, Franco Donatoni.

Gli interpreti sono stati: Claudio Lugo e l’Orchestra Laboratorio del Conservatorio di Alessandria, Vittorio Ceccanti, Maurizio Ben Omar, Katsumi Nagaoka, le Voci Atroci (Andrea Ceccon, Sergio Limuti, Marco Fossati, Martino Robertis,Esmeralda Sciascia), Riccardo Crocilla, Quintetto Archord, Steven Neugarten, …, Mauro Castellano, Daniela Aimale, Simona Barbera, Quartetto Alkman 

Le persone intervistate sono state:

Lucetta Frisa e Marco Ercolani (a cura di F. D.), Carla Magnan (a cura di Carla Rebora), Giacomo Gaggero (a cura di F. D.), Mauro Castellano (a cura di F. D.), Riccardo Dapelo (a cura di F. D.), Simona Barbera (a cura di Laura E. Parodi), Andrea Valle (a cura di Raffaello Bisso), Ernesto Napolitano (a cura di F. D.), Mauro Cardi (a cura di F. D.), Marina Pugliese (a cura di F. D.), Gianluca Capuano (a cura di F. D.), Massimiliano Damerini (a cura di F. D.), Alessandro Pacho Rossi (a cura di F. D.), Luis De Pablo (a cura di Luigi  Esposito), a Carla Magnan e Carla Rabora (a cura di Giulia Giancristoforo), Claudio Lugo (a cura di Marco Vitali) Nicola Bucci (a cura di F. D.), Sebastian Kunkler (a cura di F. D.), Mario Faveto (a cura di Marco Porsia), Stefano Verdino (a cura di Marco Porsia) Federico Bagnasco, Maria Maddalena Novati (a cura di F. D.), Fabian Pannisello (a cura di  Luigi Esposito), Davide Anzaghi (a cura di Carla Magnan e F. D.), Debora Petrina (a cura di Carla Magnan) … [non finito]. 

I musicologi e gli scrittori che sono intervenuti sono: Paolo Cairoli, Marco Berisso, Claudio Lugo, Andrea Basevi-Gambarana, Andrea Valle, Alessio Ageno, Massimo Pastorelli, Riccardo Piacentini, Nicola Bagnoli, Riccardo Dapelo, Carla Magnan, Erika Dagnino, Federico Bagnasco, Renzo Cresti, Sandro Morachioli  … 

Qui sotto elenco i titoli dei numeri con rimando ai rispettivi indici ed editoriali. La scommessa di poter sostenere questa attività solamente con i proventi degli acquirenti si è dimostrata almeno in parte inadeguata, ma utile per prendere un contatto diretto con la libertà della musica e i suoi limiti materiali e storici. Per altro la tecnologia cambia in continuazione e non si può escludere di trovarsi presto molto vicini a un assetto invece pienamente adeguato, sufficientemente agile e non troppo costoso, e capace quindi di creare spazi collettivi di composizione, interpretazione e felice orientamento di una ricezione effettiva e critica. 

1 – SuonoSonda I – Stati Iniziali

2 – SuonoSonda II – La piega, il taglio

3 – SuonoSonda III – La lente del tempo

4 – SuonoSonda IV – Tempo nigredo

5 – SuonoSonda V – La luce degli occhi

6 – SuonoSonda VI – Lati

7 – SuonoSonda VII – Web & Hubs

8 – SuonoSonda VIII – Invarianti

Naturalmente il contesto italiano ha avuto nei primissimi numeri un’attenzione particolare, ma molto presto gli orizzonti si sono aperti su tutti i continenti, fino alla realizzazione di due edizioni del Concorso SuonoSonda davvero internazionale.  

Molto ci sarebbe da dire su questo insieme di esperienze. Dal punto di vista della mia evoluzione creativa certamente è stata l’occasione per maturare attraverso registrazioni quasi sempre adeguate e alcune addirittura di ottimo livello, grazie agli interpreti e alla presenza del tecnico del suono PAOLO VALENTI. 

Confrontarsi con l’intreccio di esigenze collaborative e competizioni che è stato e continua ad essere una caratteristica dello sviluppo della musica occidentale, sia sul piano creativo che su quello interpretativo, era assolutamente prevedibile e previsto. L’autonomia e l’eteronomia della musica presente non restava una dicotomia teorica su cui vuotamente dibattere, ma un fatto concreto con il quale confrontarsi quotidianamente, per  e ancor più per gli altri, cercando sempre l’equilibrio non tanto tra audience e singolarità creatrice, quanto tra dimensione collettiva, inter-soggettiva e dimensione intima del vivere nella musica. Unico impegno etico sarebbe stato creare spazi per altri, creare, per quel che fosse possibile, creatività, confrontandosi e talvolta scontrandosi anche ‘dal basso’ con il molteplice, e lasciare ad altre iniziative l’ambizione di selezionare.  

La prosecuzione dei lavori di SuonoSonda richiederebbe oggi comunque alcuni cambiamenti non solo tecnici che, lo riconosco, tardano a costellarsi virtuosamente. In questi ultimi anni devo la concreta speranza di poter proseguire con altre modalità tali attività in particolare a due laureati in Musica Elettronica del Conservatorio di Genova che stanno cercando di rendere operativo un mio aggiornamento anche personale: Martino Marini e Matteo Traverso.  

[…]

 

 

 

*

 

VI.

 

SUONO, TEMPO, LIBERAZIONE

 

Tutte le composizioni dei capitoli I, II, III e IV sono in realtà propedeutiche alle composizioni di questo VI capitolo. La rielaborazione per diverso organico o per lo stesso organico originario ma raffinato tecnicamente di Khrushchev was coming on the right day, Avec quoi, Thubling-Hair, Beckett, Varianti di Echo’s Bones, Fotografie, L’infinito, Aión-Khrónos Kairós potrebbe farli rientrare – una volta completati – in quest’area. Tutti gli altri pezzi, che pure considero importanti per me (in taluni anche casi fondamentali), potrebbero rimanere, almeno nella mia considerazione, in una fase di messa a fuoco ancora non completata della mia ricerca.   

I seguenti brani invece, una volta portati a esecuzione e registrati, spero di poterli considerare come lavori da subito appartenenti a una fase finalmente più matura; fase che coincide con il ricco dialogo quotidiano, sul pensiero filosofico e sull’arte, che intrattengo con mia moglie MARIAPIA BRANCA (professoressa di filosofia, esperta d’arte e fotografia), e, se posso permettermi di dirlo, con la davvero cordiale disponibilità che mi ha mostrato il Maestro HUGUES DUFOURT al mio accostare e provare a studiare (spero un giorno di poter dire di averlo fatto degnamente) tanto il suo davvero notevole lavoro filosofico, quanto il suo profondo e ammirevole mondo di compositore. Questi brani rispecchiano in buona parte l’attualità del mio lavoro, anche se il ciclo Ecloga, risale, nella scrittura, a non pochi anni fa.

Senza far torto a molti altri validissimi amici, tra i musicisti della mia generazione che abbiamo incontrato con SuonoSonda e che mi hanno colpito in particolar modo per qualità di scrittura, timbro e movimento musicale (e da cui non nascondo spero di aver saputo e di saper trarre qualcosa in senso strettamente compositivo), indicherei almeno – ma si tratta di una vicinanza personale, di poetica, e non di un apprezzamento estetico più generale – Sonia Bo, Paolo Cavallone, Fabian Pannisello, Valerio Sannicandro e Federico Incardona. Ma la lista dovrebbe essere almeno duplicata, non essendo l’originalità l’unico valore assoluto, per me, in questo campo.

  

 

24. – ECLOGA (1997)

La raccolta nel suo insieme è pensata in sintonia con un omonimo elaborato letterario, decisamente complesso, di MARCO BERISSO, una rielaborazione dalla seconda egloga di Virgilio, a cui il pittore FEDERICO PALERMA, con sue immagini, ed io, con questa raccolta di brani incentrata sulla famiglia dei clarinetti, abbiamo provato a rispondere. 

24.1 -Solo ‘Egloga’ per clarinetto (solo in si b) 

La splendida esecuzione di RICCARDO CROCILLA risponde perfettamente ai miei intenti. Difficile per me immaginare un’altra interpretazione. 

24.2 – Duo ‘Ecloga’ per clarinetto in la e arpa

24.3 – Quartetto ‘Ecloga’ per clarinetto piccolo, tromba, arpa e pianoforte

… 

24.4 – Quintetto ‘Ecloga’ per clarinetto (in si b), tromba, arpa, pianoforte, percussioni e contrabbasso

 

25. – CON HSIAO CHIN (2009) per quartetto d’archi

Nelle estati tra il  2008 e il 2010, presso l’Associazione ‘Aleksandr Skrjabin’ di Bogliasco, il compositore FABIO VACCHI tenne dei corsi di composizione a cui pensai di iscrivermi e presso cui trovai vera disponibilità e cordialità, oltreché la possibilità di conoscere piuttosto approfonditamente un’opera poliedrica e di grande efficacia espressiva. Ebbi anche la fortuna di incontrare alcuni giovani musicisti stimolanti, tra cui GIANLUCA VERLINGERI, MATTEO MANZITTI o FEDERICO BAGNASCO e di conoscere di persona, e di seguire nelle loro conferenze presso i corsi, MICHEL IMBERTY, JEAN-JACQUES NATTIEZAMOS OZ. Nell’ambito degli stessi corsi ebbi il piacere di conoscere e intervistare anche MARKUS STOCKHAUSEN (che in quei periodi registrerà un disco con CLAUDIO LUGO). In una di quelle occasioni scrissi, con la supervisione di FABIO VACCHI, questo tempo per quartetto d’archi (che nel giugno del 2023 risulterà finalista presso il concorso Sinestesia tra le arti di Salsomaggiore), ispirandomi in particolare a un quadro del 1961 del pittore cinese, vivente a Milano, HSIAO CHIN, da molti anni presente nella collezione di famiglia.

 

26. – PER VIOLINO SOLO (2010)

In quelle stesse occasioni ebbi modo di scrivere questo brano per violino. Le modalità di controllo temporale della composizione devono ancora essere messe alla prova e sono tali per cui, nonostante il brano sia composto completamente, non posso escludere di dover rivedere nell’atto di esecuzione alcune cose.

I tre brani seguenti sono tutti e tre concepiti per solita e live electronics secondo modalità che sto ancora mettendo a fuoco e che potrebbero portare a versioni nuove e diverse realizzazioni di alcuni brani scritti in precedenza. Piuttosto che disperdermi in altre direzioni ho idea che cercherò di migliorare in questi ambiti potenziando le tecniche relativi a questi tre brani. Mi prendo un po’ di tempo prima di scriverne la che da tecnica o raccontarne l’idea di partenza. 

 

27. – SESTETTO DI SEYFERT (2019) per violino e live electronics

[prossimo inserimento]

 

28. – PER PIANO (2022-2023) per piano solo o piano e live electronics

[prossimo inserimento]

 

29. – SINGLETON (2023) per basso elettrico e live electronics

[prossimo inserimento]

In linea di massima posso dire che le composizioni degli ultimi tempi rispecchiano, senza vere fratture con le esperienze precedenti, un tendenziale e formativo mio allontanamento dall’influenza e dalla soggezione della parola, per spostarmi sul fronte, già da sempre presente, dell’immagine e verso un’attenzione maggiore – per quel che mi è possibile – al fronte storico-matematico e quindi fisico dell’arte musicale, che non tradisce assolutamente la sua storia plurale, ma anzi contribuisce ad approfondirla. L’innovazione e la maggiore penetrazione e possibilità di ricomposizione del fenomeno sonoro non sono da me intese come una festa della tecnica, quanto piuttosto come una sorgente di possibilità per l’espressione soggettiva, per la sua emancipazione da vincoli sociali e da limiti storici, e forse anche da aspetti considerabili come esistenziali e psichici, secondo un sentiero che è stato ed è ancora europeo, e che credo ci siano dei margini per rivendicarlo culturalmente come tale, non senza aspetti di criticità (o autocritici, anche forti), ma anche comunque con aspetti aperti a una trasmissione di valori ampiamente proponibili e condivisibili, rivolti, nel migliore dei sensi, verso la costruzione consapevole di un futuro orizzonte planetario, ispirato alla massima efficacia temporale e alla massima accortezza in termini di buon senso ecologico e geopolitico.

 

 

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TESTI

 

1 – Suono (1992 2020) – [pubblicabile] 

2 – (traduzione di) Hugues Dufourt ‘Mathesis et subjectivité’ [in allestimento: ora: 58/85]

3 – Concezione del tempo nella musica contemporanea (2016) [in revisione]

4 – Gino Contilli, maestro del dubbio creativo [in allestimento: 1/12]

5Ground, scambio epistolare con Marco Ercolani attorno alla musica [sarà pubblicato nel 2024] 

6 –  Correzioni, revisioni, mediazioni (1976 – 2023) [raccolta materiali e trascrizioni]

 

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